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A tu per tu con Jackson Genovesi: «Il secondo posto? Una sconfitta»
Jackson Genovesi ha la faccia da furbetto, di quelle che stanno bene con un sorriso che prende solo metà delle labbra. Un paio d’occhi che ti comunicano che i cervello è in funzione, che se pensi di fargliela, beh, forse dovrai pensare a una strategia davvero buona.
Uno così non poteva finire altro che a giocare a poker. E infatti, tra gavetta e affermazione, sono anni che sentiamo parlare di lui nelle cronache del poker italiano. Se n’era parlato quando, qualche mese fa, entrò a far parte del team pro di Glaming.it, uno dei più forti in circolazione. Se n’è parlato di nuovo qualche giorno fa, grazie al secondo posto conquistato al WPT di Malta, un torneo dal field duro, anzi durissimo, nel quale Jackson è arrivato in fondo assieme all’amico Alessio Isaia — poi terzo — e a Yorane Kerignard, il francese enfant terrible vincitore dell’evento.
In Italia ci siamo persi la cronaca. Com’è andato il torneo?
Il Day1 è andato molto bene, ho chiuso chipleader. C’è stato un colpo molto particolare e fortunato, in cui faccio colore al flop superando un avversario, anche lui con colore, e l’over pair di Kara Scott. Ho fatto un quasi triple-up che mi ha garantito la spinta iniziale. Da li in poi ho potuto gestire il tavolo in modo diverso e ho chiuso chipleader. Non ho fatto tuffi, non ho giocato quelle mani in cui investi un terzo dello stack in bluff; insomma: credo di aver giocato bene.
Al Day2 ho chiuso nuovamente in cima al chipcount, ma mancavano ancora più di cento persone quindi è stato meglio rimanere con i con i piedi per terra. Ho studiato il tavolo insieme ad Andrea Dato, mi ha dato un po’ di consigli per la gestione dello stack e delle dinamiche contestuali alle varie fasi del torneo. Proprio al termine del Day2 è arrivato l’altro colpo grosso, quello contro Duhamel. Quell’iniezione di chip mi ha dato la spinta decisiva: sono salito a circa 750 mila chip con il secondo a 480 mila.
Il giorno dopo si andava da 26 a 6 e quella parte l’ho giocata abbastanza bene anche se all’inizio mi sono trovato in difficoltà per un avversario che avevo alla mia sinistra molto bravo. Non volevo giocarmi molto stack contro di lui. Per fortuna l’ha azzoppato Alessio Isaia: mi ha facilitato non di poco.
Hai dominato il final table giocando in modo pressoché perfetto fino all’heads up. poi è successo qualcosa. È stato il peso dell’emozione?
Fortunatamente non sono uno che sente molto il peso della pressione. Sono sempre stato così, anche quando giocavo a calcio. Ricordo di miei ex compagni di squadra tesissimi la sera prima delle partite più importanti, a me non è mai capitato. Sono andato a Malta per vincere, ero tranquillo, poi è andata com’è andata.
Sono mancate carte e spot giusti?
No, le carte in quel three-handed non servivano più di tanto. Si giocava sui livelli di pensiero. Lui sa che io so che l’altro sa che io so e così via. Rischi di perderti nei ragionamenti al limite. Ho giocato praticamente senza carte, mani molto marginali solo per meta-game, per la situazione che si era instaurata in un dato momento del tavolo. Insomma, è stato molto divertente.
Non capita tutti i giorni un final table WPT e tanto meno capita di giocarsi l’heads up finale: il secondo posto ha il sapore di un’occasione sprecata o di una vittoria?
Assolutamente di occasione sprecata, della vittoria non c’è nemmeno un sapore lontano. Sono felice, certo, ma quando giochi MTT vinci solamente quando arrivi primo, tutte le altre posizioni sono una sconfitta che brucia più arrivi vicino alla vittoria.
Quello presentato qui è solamente un estratto. Per leggere l’intervista completa rimando al prossimo numero di Poker Sportivo, da ottobre in edicola.