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Vita da high roller: Dario Sammartino come non l’avete mai visto
Come due amici di vecchia data.
Non capita tutti i giorni di sedersi faccia a faccia con uno di quelli che sta facendo la storia mentre tu la scrivi, di entrarci in sintonia e provare a scavalcare quelle barriere imposte dai rispettivi ruoli, giornalista da una parte, giocatore dell’altra.
Forse non esiste alcun confine se non nella nostra testa e forse è davvero una chiacchierata tra amici, ma con un intento: quello di comunicare a tutti i lettori, nel modo più sincero possibile, un’immagine. L’immagine di un personaggio che in un modo o nell’altro vi avrà affascinato, tanto per le sue giocate quanto per il suo carisma, se siete finiti a leggere un portale di poker.
Eccovi Dario Sammartino, come forse poche volte l’avrete visto: qui non si parla solo di poker, le due carte in fondo sono solo una scusa, come in tanti altri casi…
Dario, partiamo con una domanda che tanti appassionati si fanno: quanto è facile perdere il contatto con la realtà per un giocatore del tuo livello?
Stare per tanto tempo in posti come Vegas o Macao, dov’è facile dimenticarsi completamente il valore dei soldi, significa muoversi in una realtà parallela rispetto a quella che tutti conoscono. Tanto più per la realtà in cui sono cresciuto io, cioè Napoli, dove con dieci euro ti mangi una pizza e una coca, mentre dall’altra parte trovi gente che si ‘gambla’ venti, trenta, cento, duecento, trecento…Ho visto gente giocarsi milioni di euro. Bisogna saper dividere le due cose, cioè la realtà che vivo quando sto fuori e quella che vivo quando sto in Italia. Io comunque preferisco sempre stare in Italia anche perché in quell’altra realtà i valori si sono un po’ persi. Le persone amano solo gamblare e divertirsi con cose che sì, sono piacevoli qualche volta, ma dopo un po’ diventano futili. Parlo di serate, party e quant’altro, tutte cose fini a se stesse. Ogni tanto all’inizio ti chiedi ‘Wow, ma in che posto son finito, che bello!’ Poi quando le vivi per tre o quattro anni…Col tempo capisci che non sono quelle le cose vere della vita, e se non stai attento ti puoi perdere molto facilmente.
E’ possibile stringere delle vere amicizie nel poker a certe altitudini?
Il mondo del poker è un mondo molto particolare, in cui non ci si può fidare di tante persone. Da quando ho cominciato la mia carriera, circa una decina d’anni fa, ho conosciuto tanti amici veri. Amici che tutt’ora mi sono rimasti, così come tante altre persone che hanno provato a fregarmi, ad approfittarsi della mia disponibiltà. La cosa più importante è stare attento a chi frequenti e mostrare la parte vera di te stesso solo a persone che non ti si avvicinano solo per trarre un vantaggio o prendere qualcosa. E’ complicato, lo ammetto, però i rapporti che nascono sono molto belli.
Chi sono gli amici conosciuti grazie al poker con cui hai legato di più?
Tra quelli che posso definire tali c’è sicuramente Musta, che è più un fratello che un amico e ci sosteniamo in ogni momento. Poi c’è Jason Mercier, che è una bella persona con cui mi trovo molto bene, Bryn Kenney, un altro ragazzo con cui mi trovo benissimo, e Benny Spindler. Lui è una delle persone più belle che ho conosciuto nel mondo del poker: umile, un bravo ragazzo, intelligente, sempre coi piedi per terra. Ce ne sono altri ovviamente, ma si tratta di rapporti diversi da questi.
C’è solitudine nel mondo del poker?
Assolutamente si, c’è e la si vede molto spesso.
Fino al decennio scorso i professionisti più affermati davano molta importanza alla gloria, alla notorietà, piuttosto che focalizzarsi esclusivamente sull’aspetto economico come accade ora: cosa è cambiato?
L’evoluzione del gioco. Ad un certo punto tutti hanno cominciato a giocare, ma non proprio tutti capivano le motivazioni per le quali lo facevano. Innanzitutto non dimentichiamo che chi gioca a questo gioco lo fa perché gli piace giocare, non solo per fare i soldi. Con l’evoluzione del gioco si è capito che è da stupidi cercare la gloria invece che cercare i soldi. E’ da stupidi perché la gloria non ti lascia niente, perché il nostro in fondo è un microcosmo. Prima avere gloria significava avere anche uno sponsor, insomma essere famosi prima era + EV anche economicamente, ti portava soldi aggiuntivi, ti metteva in contatto con gente che poteva stakarti. Ora, col fatto che gli sponsor non esistono quasi più in questo mondo, o quelli che ci sono sono molto bassi, soprattutto per noi italiani diciamo che la visibilità è quasi meno EV.
A te fa piacere vedere il tuo nome in prima pagina o in generale stare sotto ai riflettori?
Prima mi faceva molto più piacere, ora invece la maggior parte della mia vita, inclusa quella pokeristica, tendo a tenerla abbastanza privata perché spesso gioco cifre che a tanti possono sembrare qualcosa di molto distante dalla loro percezione. Quindi sia quando vinco che quando perdo preferisco non farlo sapere in giro, anche perché tutto quello che si vede, gli articoli che vengono scritti sulle nostre vittorie, non corrispondono quasi mai alla realtà dei fatti. Tutti i giocatori di poker, soprattutto i torneisti, hanno dei downswing molto grossi, perciò è meglio tenersi certe cose per sé. Tuttavia non posso negare che è bello tornare in Italia e vedere persone che apprezzano quello che hai fatto, che ti stimano.
Cosa baratteresti di quello che hai per qualcosa che pensi di non avere?
L’ amore…E chiaramente tutte le cose le cose positive che ne conseguono, ovvero una famiglia, la stabilità, la tranquillità. E’ questa l’unica cosa che baratterei per la vita che ho ora.
Ma è davvero così scintillante la vita di un poker player di successo o c’è qualcosa che non sappiamo?
Sicuramente ci divertiamo meno di quello che sembra o di quello che appare sui social. Fare il poker player a certi livelli significa lavorare, lavorare e lavorare. Perché quando giochi un high roller o una partita molto alta stai lavorando: sei concentrato al 200%, lo stress c’è come o forse più che in un lavoro normale. Per quanto si tratti di uno stile di vita privilegiato, si lavora sodo almeno otto mesi l’anno e vi assicuro che dare sempre il massimo per dieci giorni su dodici, come accade nei festival EPT, non è affatto semplice. Perché a certi livelli gli errori possono costare molto cari.
Ma come si fa a mantenere il sangue freddo quando ci sono tanti soldi in ballo?
Dopo che lo fai per tanto tempo è solo una questione di esperienza, di stimoli. Quando bluffo ad esempio, penso semplicemente che il mio bluff andrà in porto l’80% delle volte. Perché il range del mio avversario è debole, perchè il mio percepito è forte o semplicemente perché è un ottimo bluff e quindi lo faccio con tranquillità. Non ci sono tensioni particolari da questo punto di vista.
Dopo tanto tempo speso ai tavoli senti ancora quella scarica quando giochi?
A tratti c’è. ogni tanto quando faccio qualche tavolo finale importante o quando faccio una partita molto grossa quella scarica c’è.
Obiettivi? Non ci crediamo che si tratti solo di soldi…
I soldi chiaramente sono una parte essenziale del gioco. Non tanto per il valore che hanno in sé tanto perché fungono da metro di misura: più vinci e più sei forte. E’ come per un calciatore, più gol fa, più vale e più è bravo. Nel poker accade lo stesso, quindi sì, vincere dei soldi è uno dei miei obiettivi principali. Ma se devo essere sincero vorrei riuscire molto meglio nei tornei. Nel cash game comunque ho vinto a tutti i livelli, battuto quasi tutte le partite…Diciamo che mi sono già tolto le mie soddisfazioni, nei tornei invece non ancora. E’ questo uno dei target principali al momento.
Un braccialetto potrebbe bastare?
Se fosse il One Drop o il Main Event sì. Un torneo da due o tremila non mi appagherebbe più di tanto. Chiaramente sarei molto contento, però non come per quei due lì…
Fai il poker player o sei un poker player?
Lo sono!
E su questo non avevamo dubbi…