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La storia di Carl McKelvey, l’ultimo road gambler del Texas: “Non imitatemi, trovatevi un’altra carriera”
Tra i personaggi che hanno fatto la storia del poker americano ci sono alcuni nomi famosi e altri meno. Tutti sanno per esempio chi sono Doyle Brunson o Jack Binion. Ma avete mai sentito parlare di Carl McKelvey?
Ci pensa Ben Saxton con una bellissima (e rara) intervista pubblicata da PokerNews a farci conoscere questo 75enne che gioca a poker dai primi anni ’80 e tuttora frequenta regolarmente i tavoli cash del Wynn di Las Vegas, a bui 25/$ e 5/10$.
La storia di McKelvey parte da lontano: “La mia carriera da gambler iniziò a Victoria, Texas, quando smisi con la Air Force negli anni ’60; conobbi Bobby Hoff quando faceva il dealer al Lloyd Club. C’era una partita da 20$ dall’altra parte della strada. Tanti soldi per quell’epoca. Mi appassionai al poker mentre studiavo il blackjack. Un ranger però ci fece chiudere nel 1965. Ero stufo della scuola e non avevo un lavoro, così capitai a Las Vegas.
Contare le carte era remunerativo a quei tempi, ma non avevamo mai abbastanza soldi! I nostri deliri di grandezza evaporarono e dovemmo metterci a lavorare. Io davo i dadi al vecchio Mint (è dove l’Horseshoe si sarebbe poi spostato) mentre Bobby dava le carte al blackjack del Las Vegas Club. Guadagnavamo otto dollari al giorno, più due dollari di tanto in tanto. Vivevamo in un motel in fondo alla strada e facevamo la fame.
Alla fine del 1965 mettemmo insieme un team di blackjack. Eravamo tra i cinque e i sette componenti, tutti bravi a contare. Eravamo uno dei primi team di conteggio al blackjack che il MIT ha reso famoso. Non sfondammo a causa di Robert Griffin, un ex poliziotto che aprì la Griffin Detective Agency. Eravamo stupidi. Giocavamo al Tropicana e uno dei suoi uomini seguì Ken Wilson, un ragazzo giovane e un buon giocatore, dal casinò al nostro quartier generale. Griffin ci scattò foto e ci mise nel suo libro. Così ci spostammo a Reno.
Negli anni ’70 ho giocato soprattutto a blackjack. Poi però un uomo di nome Ken Uston ci ha venduto e ha spifferato i nostri segreti. Quella è stata la fine del blackjack per me e sono tornato in Texas, dove ho incontrato Jack Straus. Lui era un grande poker player e mi ha insegnato molto.
Prima del 1980 conoscevo tutti i bravi giocatori di poker. In quell’anno ho capito che anche io stavo per diventare uno dei migliori.
Nel 1983 sono arrivato 4° al Main Event delle World Series senza vedere carte praticamente e mi sono detto che potevo dedicarmi seriamente a quel gioco. Bobby Hoff aveva una mente molto analitica. Lui vedeva qualcosa e io vedevo qualcos’altro.
C’è un solo giocatore che si è avvicinato a Bobby ed è Doyle Brunson. Ma penso che Bobby fosse ancora più bravo di Doyle. È stato Bobby a sviluppare quella che oggi i ragazzini chiamano la c-bet. Negli anni ’70 la chiamavamo ‘the chop’, ovvero il taglio. Dicevamo così perché puntanto tagliavamo fuori gli avversari dal piatto. Anche se non avevamo una mano. Bobby ha sviluppato quella strategia nel corso degli anni e alcuni di noi erano suoi discepoli“.
Per la cronaca, Hoff è mancato nel 2013 all’età di 73 anni. Ma torniamo all’avvincente racconto di McKelvey: “Siamo diventati gamblers viaggiatori del Texas. Ci fermavamo a Victoria, Corpus Christi, Robstown, San Antonio, Luling, Seguin. A volte andavamo al Cajun Cup a Lafayette, Louisiana. Una volta un dealer mi ha chiesto perché noi del Texas eravamo così gentili. Semplice, dovevamo esserlo. Se non lo fossimo stati, non ci avrebbero più invitati a tornare. Nel 1985 il no-limit poker è scomparso a causa dell’Oil Bust. Quasi dappertutto. Il Texas è stato colpito molto duramente. Così il limit poker, probabilmente la peggior variante dell’hold’em, è diventata il re. Gli amatori avevano sempre un prezzo per chiamare.
Nel 1990 ho rimesso insieme molti dei vecchi road gamblers del Texas e ho detto loro che dovevamo ricominciare. Così ci siamo messi a giocare il pot-limit hold’em a bui 25/50/100$ alle World Series. Con risultati positivi.
I giocatori di poker dovrebbero baciare i piedi a Lyle Berman. Lui ha fatto trasmettere il World Poker Tour in televisione. Ciò ha portato al poker online e al Moneymaker Effect“.
E così siamo arrivati al presente: “Molti dei giovani giocatori di oggi sono molto bravi. Per 15 anni ho giocato il no-limit a bui 25/50$ e 50/100$ al Bellagio. Ora devo lasciare il mio ego alla porta. È il momento di questi giovani.
In certi giochi sento di non avere più edge. Quando è così, quitto. Non ho più la pressione di dover vincere. Gioco perché non ho niente altro da fare! L’unica passione che mi è rimasta è il golf. Ho perso la mia passione per il poker tanto tempo fa. Ma amo ancora questo gioco. Sarà sempre un poker player“.
Siete rimasti anche voi un po’ spiazzati leggendo queste parole? Non è finita. Sentite cosa dice McKelvey a chi vorrebbe seguire la sua strada: “A un aspirante poker pro direi di andare a scuola, di trovarsi un altro lavoro e di costruirsi una carriera lontano dal poker.
Molti ragazzi vogliono diventare dei poker pro. Sembra una bella vita. Dormire fino a mezzogiorno, giocare a poker, fare quello che si vuole. Ma non è così. Alcuni hanno successo, ma molti altri no.
E quei ragazzi sono intelligenti. Sono laureati. Potrebbero essere qualunque cosa e perdono il loro tempo giocando a poker. Cosa ottengono? Cosa danno alla vita? All’umanità? Io non avevo scelta, venivo dalla strada. Dovevo fare ciò che dovevo fare. Ma questi ragazzi non sono obbligati. Trovatevi una carriera. Uscite e fate qualcosa“.
McKelvey ci tiene poi a ribadire qual è il clima che dovrebbe esserci a un tavolo da poker: “Alla mia età voglio giocare a un tavolo dove mi sento a mio agio. Non voglio giocare contro degli str*nzi. Io li chiamo str*nzi delle cardroom pubbliche.
Una volta Bobby si ritrovò in un grosso piatto contro un giocatore di football che gli chiese cosa aveva. Bobby rispose ‘doppia coppia’. L’altro mostrò un colore. ‘Ho due coppie di otto’, aggiunse Bobby girando quads.
BOOM! Bobby si prese un pugno sul naso. Disse che non lo avrebbe fatto mai più. Una lezione del genere oggi non si può imparare. Bisogna trattare l’avversario come un cliente. Bisogna farlo sentire a suo agio“.
Chiudiamo così: “Siamo rimasti solo io e Doyle ai tavoli tra quelli che hanno giocato le WSOP del 1970, ma lui apparentemente si è appena ritirato. Quindi io potrei essere definito l’ultimo dei Texas road gamblers“.