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Il mito di Stu Ungar raccontato da Doyle Brunson e Mike Sexton
Essere Stu Ungar non è stato un compito facile.
Né per se stesso, né per chi gli ronzava intorno: sempre al limite tra genio e follia, la dimostrazione vivente che per vincere a poker non bisogna essere soltanto un bravo giocatore e che senza un minimo di self-control anche un talento delle sue proporzioni ne esce inevitabilmente ridimensionato.
Quel che non tramonterà mai però è il mito, la figura leggendaria che Stu Ungar è stato in grado di costruirsi, nel bene e nel male.
La scorsa settimana Pokergo ha diffuso un piccolo documentario raccogliendo alcune illustri testimonianze di chi gli è stato vicino sin dagli esordi della sua carriera. E i racconti sono assolutamente imperdibili…
Il miglior giocatore di carte al mondo
Stuey non era soltanto un giocatore di poker, ma un giocatore di carte:
“Nessuno è mai riuscito a battermi a un gioco di carte e l’unico in grado di farlo sarebbe…Me stesso!” Dichiarò in una intervista a margine dell’ennesimo torneo vinto.
E probabilmente era così, almeno stando a quanto raccontano gli altri:
“Lui non voleva solo batterti, voleva dominarti, voleva dominare chiunque al tavolo e ci riusciva!” – racconta Doyle Brunson –“Ai tempi lui era un giovincello e forse sono stato quasi una figura paterna per lui. Vedevo quel ragazzino provare a fare cose che nessun altro osava azzardare, ed era il più piccolo di tutti. Era così minuto che dovevano mettergli una sedia più alta per arrivare al tavolo e inizialmente tutti lo prendevano in giro. Non ci è voluto troppo tempo affinché smettessero di ridere: ha battuto ogni singolo giocatore contro cui si è misurato.”
Ungar, prima di diventare una leggenda del Texas Hold’em, era già una leggenda nel mondo del Jim Rummy.
Secondo Phil Hellmuth non è ancora nato un giocatore più bravo di Stuey in quella disciplina (DATE UNO SGUARDO QUI per approfondire il racconto di Poker Brat) e della stessa opinione è anche Mike Sexton:
“Nessuno ha mai dominato un gioco come Stu dominava il Jim Rummy, già da quando aveva 16 anni.”
Troppo piccolo per cosa?
Un bel giorno il giovane Stu si trova assieme a Sexton e va al bar per ordinare da bere:
“Per lui una birra e per me uno scotch con un bicchiere d’acqua”
“Ho bisogno della tua carta d’identità prima”
“Hey, ho 35 anni, veramente mi stai chiedendo la carta d’identità?” risponde Ungar nel tentativo di convincere il barista senza dover rivelare quanti anni avesse realmente.
“Puoi anche avere ragione ma ho bisogno di sapere la tua età”
A quel punto Stu mette le mani in tasca e posa sul bancone due mazzette da 10mila dollari l’una e gli dice:
“Pensi che uno che non può farsi ancora uno scotch girerebbe con 20mila dollari in tasca?”
“Il suo whiskey singore…”
Di un altro pianeta
“Chi ha giocato i due Main Event con lui potrà dirlo – racconta Mike Sexton in riferimento ai due Main vinti uno in fila all’altro – sembrava che venisse da un’altra galassia perché il livello di pressione che riusciva a mettere agli avversari in ogni spot e la costante aggressività che aveva al tavolo erano quasi ignoti al tempo.”
E in effetti è proprio questa la ragione per cui Stu è diventato una leggenda: quando ancora il Texas Hold’em era ben lontano da quello a cui siamo abituati oggi, Stuey aveva un livello talmente superiore rispetto alla media da poter fare davvero quel che gli pareva. (DATE UNO SGUARDO a quello che è stato definito il “Call del secolo”)
Il suo vero limite non è mai stato inerente alla tecnica, quanto alla testa:
“Era il più veloce a fare tutto, il più veloce a contare, a leggere un tell all’avversario, a capire ogni situazione di gioco. Ed era anche il più veloce a perdere il controllo, era troppo vulnerabile” – spiega Doyle Brunson – “Eppure aveva una gran personalità al di fuori dal tavolo, un tipo molto simpatico. Il classico con cui andresti a bere una birra o vedere un film.”
Una vita sempre al limite
Nonostante le sue indiscutibili qualità Stu Ungar era spesso senza il becco di un quattrino in tasca:
“Era spesso broke e se aveva soldi o li usava per la droga o li stava giocando da qualche parte” – svela Mike Sexton, che in quegli anni gli stava molto vicino – “Ricordo che una volta mi chiese 300 dollari per comprare dei vestiti a sua figlia per andare a scuola. Io non gli diedi dei contanti ma glieli misi in una carta.”
Entrambi si mettono a piangere perché capiscono quanto paradossale possa essere il momento finché Stuey esclama:
“Non vedi quanto tutto sia patetico Mike? Ho avuto milioni tra le mani e ora non ho nemmeno i soldi per comprare dei vestiti a mia figlia!”
Eppure, tra infiniti alti e bassi, Ungar riuscì ancora una volta a tirarsi su. Come? Vincendo il suo terzo Main Event, nel 1997:
“La vittoria del ’97 fu sensazionale. Vincere un torneo con un field così largo, con tutte le problematiche che aveva in testa e una pressione psicologica enorme, dimostra quanto il suo talento fosse spropositato.”
Se non conoscete ancora la storia di quello che viene considerato il miglior giocatore della storia DATE UNO SGUARDO QUI