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Andrea Shehadeh racconta la sua avventura al Main EPT di Praga
E’ stato bello, finché è durato…
Il sogno di vedere Andrea Shehadeh tra i finalisti del Main EPT di Praga era più che mai vivo a inizio Day4, quando “Shehadinho” si è presentato da chipleader indiscusso a 41 left. (CLICCA QUI per il resoconto del torneo)
Riflettori puntati su di lui – più per le aspettative di una nazione intera che per le luci abbaglianti del feature table – e una gran voglia di spaccare il mondo.
Tanto che dopo le prime orbite Andrea si è trovato addirittura a gestire uno stack da quasi 200 big blind, un’infinità…
Poi che è successo?
“Eh, è successo che dopo aver vinto le prime 10/12 mani di fila non ne ho beccato più una…” – scherza Andreino con un filo di sarcasmo – “Ho avuto la fortuna di deeprunnare un torneo bellissimo ed è pur sempre una grande emozione dato che si trattava del mio primo Day4 a un Main EPT. Lamentarsi sarebbe stupido, ma è normale che la delusione sia ancora cocente…”
Il Main EPT non può essere un torneo come gli altri e non a caso, la notte prima del Day4, è stata piuttosto turbolenta:
“L’emozione e la tensione si sono fatte sentire anche se non hanno influito sul mio gioco. La notte prima ho dormito poco anche per pensare a con quale strategia affrontare il tavolo, mi sono informato su chi fossero i miei avversari e che risultati avessero ottenuto, sia live che online…”
A tanto così…
“In carriera ho avuto la fortuna di fare diverse belle deeprun, ma non mi era ancora capitato di arrivare in fondo a un torneo con un primo premio così grosso.
Quando si chiude da chipleader c’è sempre una pressione particolare addosso: amici, genitori che ti dicono ‘forza, coraggio’…In realtà però, il torneo dura sei giorni e i premi che spostano sono nelle prime 5 posizioni.
Rammarichi? Pochi, perché penso di aver espresso un buon gioco. Al Day1 ho giocato bene chiudendo con un discreto stack, senza speware, poi questo è un torneo con blind da un’ora e mezza e son pochi i quelli con una struttura simile durante l’anno, oltre al Main WSOP s’intende.
Quindi, la volta che ti capita di chiudere con oltre 100 big blind a un torneo così’, non dico sia facile arrivare in fondo ma se sai adottare una strategia giusta contro giocatori un filo più deboli di te (che magari sbaglieranno nella fase 30x, nella fase dei reshove, nella fase bolla, nelle tribet, nei flat) cerchi di prenderti i tuoi piccoli vantaggi e rimanere a galla senza rischiare eccessivamente.
Poi le volte in cui hitterai, anche in virtù dell’immagine loose eccetera, saprai sempre chi size adottare, come farti pagare, contro chi farla, contro chi speware. Non ho mai avuto in questi quattro giorni occasioni in cui ho dovuto mettere a repentaglio tutto il mio stack facendo, che so, un bluff esagerato o l’hero-call della vita.
E’ filato tutto abbastanza liscio e sì, anche se al Day2 c’erano diversi reg al mio tavolo e la run non mi ha sorriso (ho chiuso con meno chip di quante ne avessi imbustate al Day1) ho vissuto un po’ di rendita presentandomi al Day3 con circa 30x che con livelli da 90 minuti sono oro colato. Al Day3 in 40 minuti ho quadruplicato lo stack e tutto è andato liscio come l’olio, fino al Day4…”
Alta tensione
“Come ho detto prima un po’ di tensione l’ho avvertita ma non non avevo nulla da perdere, anzi…
Quanto ha influito il fatto di essere al feature? Mah, tanti personaggi magari sentono l’obbligo di fare chissà cosa di fronte alle telecamere per mostrarsi agli altri, ma sinceramente non sono il tipo che necessita di queste cose.
Quello che ha influito maggiormente a parer mio è stato il redraw, più ostico rispetto agli altri tavoli.
Giocare qualcos’altro ora? Ci sarebbe l’hyper, ma vi lascio immaginare in che condizioni potrei approcciarlo in questo momento!”
Se vi siete persi il racconto di Federico Piroddi dopo il terzo posto al side EPT Deepstack DATE UNO SGUARDO QUI.
Photo Credits: Stefano Atzei