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L’overconfidence per Andrea Dato: “È un po’ come essere innamorati, non si ragiona lucidamente!”
Nel poker esistono diverse tipologie di ’tilt’, una di queste deriva dall’eccessiva sicurezza nei propri mezzi, meglio conosciuta con il termine inglese ‘overconfidence’ .
Essere sicuri di sé è sicuramente fondamentale al tavolo verde, ma anche in questo caso gli eccessi possono portare a risultati ben diversi dalle aspettative iniziali.
Tra le vittime di questo singolare calo di attenzione non ci sono soltanto i giocatori alle prime armi, ma anche ovviamente i più esperti. Ultimamente, ad esempio, è successo ad Andrea Dato, uno dei migliori player sia a livello nazionale che al di fuori dei confini italiani.
Al termine della sua deludente performance all’ultimo Ept di Praga, ‘Datino’ aveva esternato le sue perplessità riguardo alla condotta di gioco adottata nel Main Event su Facebook con questo post:
In esclusiva per i nostri lettori siamo andati ad intervistarlo per far luce su questo aspetto:
IPC: Andrea, per tua stessa ammissione sei stato una delle vittime illustri dell’overconfidence. Riusciresti a riassumere gli errori che si compiono quando questo stato ha la meglio?
AD: L’overconfidence ti porta a voler vincere il piatto a tutti i costi: ovvero bluffare quando non si ha nulla e lanciarsi in coraggiosi ‘hero call’ senza un punto forte in mano. Tutte scelte evidentemente mal ponderate. Quando un giocatore è in overconfidence, che può essere considerata a tutti gli effetti una forma di tilt, la mente non gli permette di valutare al meglio le situazioni. Si tende generalmente a sovrastimare la probabilità che l’avversario stia bluffando, complice una visione soggettiva dei range e delle probabilità. Non a caso il call/muck diventa lo scenario più frequente. Stesso discorso per il bluff: sovrastimando la propria fold equity si prende meno in considerazione la probabilità che l’avversario opti a sua volta per un ‘hero-call’. In un certo senso è come quando si è innamorati: il cervello, condizionato eccessivamente dalle emozioni non riesce a ragionare in maniera pulita.
IPC: Ti era già successo in passato di accusare i pericolosi sintomi dell’overconfindence?
AD: Si, mi era già accaduto ma non in maniera eclatante come all’ultimo Ept. Ho sfoggiato davvero un poker di bassissima categoria, giocando come facevo quattro anni fa. Il discorso più interessante è capire perché questo avviene più che stabilire il come. Nel mio caso provenivo da un buon periodo, in cui tutto sembrava girare per il verso giusto. Il tavolo era discretamente facile, pieno di giocatori poco esperti, e in preda alla voglia di strafare ho fatto la figura del cretino! (ride)
IPC: Una volta individuato il problema, quanto tempo ci vuole per tornare ad esprimere il proprio A-game?
AD: Ovviamente il giocatore meno esperto fa più fatiche ad ammettere l’errore, attribuendo le cause del suo insuccesso alla sfortuna. Quando ciò accade, la prima cosa che fa è iscriversi ad un altro torneo o in casi più estremi andare a giocare al casinò per recuperare le perdite. Il giocatore più navigato invece, una volta riconosciuto il tilt può anche sedersi nuovamente al tavolo, o se pensa di poterlo accusare ancora può benissimo scegliere di non giocare.
IPC: Quali consigli daresti ad un giocatore per ritornare in carreggiata senza accusare il colpo?
AD: Innanzitutto distinguerei due situazioni: la prima è quando a seguito di un brutto colpo perso si rimane comunque dentro al torneo. Questa è tra le più difficili da gestire, e per quanto possa sembrare banale è indispensabile resettare la propria mente e concentrarsi al meglio nello spot successivo. Ovviamente capita spesso che in questi casi ci si chiuda più del dovuto o al contrario si cominci a ‘speware’ in ogni piatto con raise re-raise poco sensati. La migliore medicina rimane comunque l’esperienza: a furia di sbagliare e riconoscere l’errore si impara anche a gestire al meglio il tilt. Un consiglio che posso dare è quello di parlarne con un amico, raccontandogli l’accaduto in modo sincero; equivale a mettere il tutto nero su bianco, un modo per redimersi ammettendo di fronte ad un’altra persona la leggerezza commessa