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Dall’amuleto portafortuna al look ‘fishy’: Federico Butteroni è pronto per il Tavolo dei sogni!
Il final table del Main Event WSOP è ormai alle porte.
Tra poco meno di due giorni Federico Butteroni cercherà di portare a compimento un percorso che anche nella peggiore delle ipotesi sarà da considerarsi un successo.
Il secondo November Nine azzurro della storia proverà a far meglio del suo predecessore, Filippo Candio, giunto in quarta posizione nel 2010, pur partendo con una manciata di big blind.
Per l’occasione vi proponiamo un’intervista esclusiva realizzata con il nostro protagonista all’appuntamento WSOPE di Berlino: finora l’abbiamo tenuta nel cassetto su indicazione dello stesso Federico.
IPC: Alle WSOPE non sei riuscito a lasciare il segno: solo sfortuna o c’è stato anche un problema di motivazione, visto che tra pochissimo parteciperai al final table più importante della tua vita?
FB: Devo ammettere che non è stato facile trovare gli stimoli giusti per incidere, ma c’è da dire che anche la struttura degli eventi a cui ho partecipato e l’altissimo livello dei giocatori presenti richiedevano una buona dose di run per avere successo. Come all’Oktoberfest per esempio – il torneo multy-day da 500€ – in cui sono riuscito ad arrivare in fondo e ho perso tutto lo stack mettendole al 92%. Il Main Event delle WSOP invece è il torneo per eccellenza, con bui da due ore e tanto tanto spazio di manovra: certo, anche lì è indispensabile aver fortuna ma sicuramente quel tipo di struttura limita un poco il fattore aleatorio.
IPC: E’ questo quindi il motivo per cui hai deciso di lasciare Berlino prima del Main Event?
FB: Premetto che il marchio WSOP ha sempre esercitato un certo fascino su di me, ma dopo i primi eventi mi sono reso conto di non essere in grado di dare il 100% e ho preferito tornare a casa e cominciare la preparazione per il final table.
IPC: Quando parli di ‘preparazione’ cosa intendi di preciso? Giocare questi eventi non costituisce di per se un modo per tenersi in allenamento?
FB: Dipende sempre da come uno affronta le cose: se uno riesce ad essere concentrato per dieci ore filate senza mai perdere la testa beh, quello è un modo per prepararsi mentalmente. Il final table che andrò a giocare sarà qualcosa di unico e irripetibile, specialmente nelle mie condizioni dato che ho soltanto 15 big blind a disposizione, perciò simulare un evento di questa portata e svolgere un’adeguata preparazione di sorta è piuttosto difficile. Al di là di come sono andate le cose per me è stato molto utile poter parlare e confrontarmi con dei grandi campioni quali Greg Merson e Phil Hellmuth. Entrambi sono stati sin da subito molto disponibili nei miei confronti e proverò a far tesoro anche dei loro consigli su come approcciare il final table.
IPC: Si dice che la vera felicità non risieda nel punto d’arrivo bensì nei momenti che lo precedono: è così anche nel tuo caso?
FB: Penso che l’attesa sia una delle emozioni più belle: sono stati quattro mesi di sogno ma prima o poi le cose vanno affrontate ed ora è arrivato il momento. Grazie a questo tipo di format chi diventa November Nine gode di tanta visibilità per un lungo periodo, non solo nel tempo che intercorre tra l’ultimo Day e il tavolo finale ma per tutta la durata dell’anno. Questo torneo ha nove vincitori e un supercampione o almeno io definirei così il Main Event delle WSOP.
IPC: Il final table verrà guardato da tantissimi appassionati italiani che faranno il tifo per te: senti il peso di questa responsabilità?
FB: Io mi sento parte di un qualcosa di molto grande e ho sempre cercato e cerco tutt’ora di rispondere a chiunque si interessa su ciò che ho fatto o mi fa domande, siano essi dei media che dei semplici appassionati. Ho una grande responsabilità e non mi pesa rispondere a domande che magari mi hanno già fatto cento volte: io ho sempre il sorriso e sono contento di farlo, anzi ringrazio tutti per le attenzioni dimostrate. Sicuramente nei giorni del final table e in quelli immediatamente successivi non riuscirò a rispondere a tutti e per questo mi scuso già da ora ma penso sia comprensibile a prescindere dal risultato finale. Penso comunque di esser riuscito a dare un buon esempio, non soltanto come giocatore ma nel senso di provare a coltivare un sogno, crederci fino in fondo e riuscire nell’impresa.
IPC: Qual è la domanda che avresti voluto ti fosse posta e che nessuno ti ha mai rivolto?
FB: Ce ne sono tante…nessuno mi ha mai chiesto ad esempio come mai indossavo sempre la camicia nel corso dei vari Day: l’intento era quello di avere un look ‘fishy’ in modo da non dare nell’occhio nel caso fossi capitato al tavolo con qualche grinder esperto. Se notate bene al giorno d’oggi tutti i regular hanno un certo tipo di look, dalle felpe con cappuccio per nascondersi ai classici occhiali da sole o un paio di cuffie enormi. Io ho preferito vestirmi come un qualsiasi amatore e alla fine la scelta ha pagato, no?(ride)
IPC: Nel 2010 Filippo Candio portò con se la mitica felpa a bande nere e azzurre anche al final table: anche tu hai un portafortuna come il tuo predecessore?
FB: Di base non sono un tipo scaramantico, ma devo confessare che si, avrò un portafortuna. Si tratta di un piccolo cornetto che mi hanno regalato i miei amici di Torre del Greco. Lo porterò con me nel corso del final table e spero mi porti davvero tanta fortuna dato che ne avrò un enorme bisogno!