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Phil Ivey: “non studio i solver, penso che quello che faccio da solo, funzioni”
Nei giorni scorsi Phil Ivey ha segnato una linea ben netta tra quelli che sono gli usi e costumi di un grinder che studia la disciplina del poker con costanza e una certa continuità, a differenza di un giocatore come lui che dice di studiare molto di meno rispetto ad essi.
L’undici volte vincitore di un braccialetto WSOP ha infatti rilasciato un’intervista a Joe Ingram nella quale parla di questa e di altre dinamiche.
Il talento di Phil Ivey
La parte iniziale di un pezzo come questo non può non essere atta a descrivere un giocatore come Phil Ivey come un diamante rosa del poker internazionale, non tanto per il fatto che le sue vittorie precedano ancor prima di sedersi al tavolo il suo arrivo nelle sale da gioco, quanto perché il suo stile di gioco, la sua innata qualità delle giocate, le sue letture profondissime, ne hanno sempre fatto un giocatore fuori dal comune e unico nel suo genere.
Codigopoker, il portale da dove abbiamo ripreso l’intervista di Ingram ne parla anche come un esempio di longevità, cosa che non capita a tutti i suoi colleghi che si arrendono lungo il cammino di una carriera difficilissima.
Il modo in cui ci è riuscito lo ha spiegato in un recente podcast curato e condotto proprio da Joe Ingram che però non è ancora stato pubblicato ma per il quale lo stesso Ingram ha pubblicato una clip sul suo account “X”.
Le parole nel podcast di Ingram
“Se so che un giocatore è ben preparato e gioco contro di lui, lo guardo attentamente e cerco di decifrare: ‘Beh, questo è quello che fa. Sta facendo questo e quello. Probabilmente lo fa perché lo dice il computer“. Anche se non ho studiato tanto quanto lui, lo osservo attentamente nelle diverse situazioni e cerco di mettere in atto strategie diverse. Ha senso quello che fa?“
Poi, ha approfondito un po’ di più: “Poi cerco di vedere quelli che dicono di essere i migliori giocatori. Se mi dicono che è molto buono, allora vado ad osservarlo. Ci farò caso. Cosa fa? Perché è così un buon giocatore? Cosa lo rende diverso? E io dico: ‘Beh, questo ragazzo gioca in questo modo. Fa le cose in modo un po’ diverso da quest’altro ragazzo, che è anche molto studioso. Ok, allora, cosa fa? Ok, allora questo ragazzo fa una cosa del genere”.
“Quindi metto tutte queste cose diverse insieme e cerco di implementarle in quello che faccio. A quello che penso di fare naturalmente bene, aggiungo quello che fanno loro e cerco di ideare una strategia di gioco che continui ad essere vincente. Non ho tempo per studiare i solver. Forse un giorno lo farò, ma penso che quello che faccio ora funzioni e beh, questo è quello che faccio”.