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Poker e “real life” – come conciliare il rapporto per chi non è un professionista
Molto spesso colloquiando con appassionati di poker o frequentando i forum ho sentito fare un distinguo tra i momenti della giornata che dedichiamo al gioco del poker da quelli della “real life”, la vita reale, quella fatta di un lavoro, una famiglia, gli amici.
Chi vive il poker facendone una professione difficilmente farà questa diversificazione. Per il giocatore a tempo pieno, professionista, sponsorizzato, in qualche modo il poker “è” il lavoro, la vita reale. Programma la sua giornata in funzione del poker come un dipendente di una pubblica amministrazione programma la sua basandosi sulle 36 ore settimanali da dedicare al suo lavoro.
C’è poi una seconda categoria di giocatori di poker, quella degli occasionali. Piccoli appassionati che di tanto in tanto si cimentano in un torneo, un sit&go, prendono il poker né come uno sport né come un lavoro, ma semplicemente per quello che è, un gioco, un mezzo per divertirsi e passare il tempo.
Ma al di la del professionista e del giocatore occasionale, vorrei soffermarmi nelle prossime righe sulla terza categoria, il giocatore sognatore. Colui che non gioca occasionalmente ma assiduamente, il grinder alla ricerca del successo, insomma il giocatore medio, quello che si esalta per un buon piazzamento al torneo online della domenica, quello che spera di aumentare progressivamente il bankroll per sperare, un giorno, di ottenere una sponsorizzazione da parte di una popolare poker room.
Questa categoria rappresenta la maggior parte dei giocatori di poker, almeno online. Mentre per gli appartenenti alla prima categoria, i professionisti, il poker è parte integrante della “real life” e per gli appartenenti alla seconda categoria il poker solo occasionalmente e marginalmente interessa la vita reale, normale, di tutti i giorni, per il giocatore medio troppo spesso il confine tra il gioco del poker e la vita in generale diventa confuso. E qui iniziano i problemi.
La confusione scaturisce da diversi elementi quali la sbagliata gestione del denaro, il tempo “rubato” ad altre attività culturalmente e socialmente utili e necessarie, la mente che è costantemente concentrata sul mondo del poker anche quando si è lontani dal tavolo verde o dal PC.
Troppo spesso ho assistito in prima persona a casi di persone che si lasciano trasportare in maniera incondizionata dalla passione del poker da non avere più la capacità di equilibrio all’interno della propria vita, come se il poker diventasse la primaria necessità e la società nella quale esso vive fosse di troppo.
Se non si è dei professionisti si rischia di prendere troppo sul serio questo gioco a meno che non si raggiungano dei compromessi con chi ci circonda, sia in famiglia che nel lavoro.
Molti di noi vorrebbero trascorrere più tempo da dedicare al poker ma non possiamo, ce ne facciamo una ragione e troviamo gioia dalla vita normale, altri riescono a trovare gioia e stimoli solo dal poker nonostante per loro sia solo un hobby o poco più che un passatempo.
Ci esaltiamo per aver vinto un freeroll con 2000 partecipanti e dopo 6 ore di gioco aver vinto una manciata di euro. Quando lo raccontiamo alla nostra ragazza vorremmo sentirci dire “bravo” mentre in realtà cova in lei il timore che possiamo perder soldi in questo gioco d’azzardo in cui se ci sono giocatori forti, che vincono anche milioni, di sicuro c’è chi perde, e tanto.
A tal proposito mi permetto di richiamare un esempio reale, al quale assisto quotidianamente, il mio: la mia ragazza, Alessandra, fino a qualche mese fa aveva solo una vaga idea di cosa fosse il poker e l’immagine che aveva di questo gioco di carte era associato più a quello della bisca che del gioco di aggregazione e competizione sportiva come può essere considerato un torneo.
Ho continuato a dedicarmi al poker e in questi mesi ho rinunciato a partecipare a tornei ai quali avrei voluto partecipare volentieri così come ho giocato tornei incitato da lei stessa, compresa la partecipazione ad un torneo live o a manifestazioni che portano via tante ore alla vita reale come i lunghi tornei delle ICOOP o delle SCOOP di Pokerstars.
Ed oggi riesco a giocare a poker e contestualmente ad avere una vita fatta di affetti, amicizie, lavoro e amore. In buona sostanza non rinuncio al poker ma per il poker non rinuncio alla vita reale. Questo compromesso, soprattutto con Alessandra, è stato possibile perché non ho mai messo il nostro rapporto in secondo piano rispetto al poker e soprattutto, nei momenti in cui si è parlato di poker, con attenzione, intelligenza e chiarezza sono riuscito a farle capire quanto sia sbagliata l’idea che il poker sia un gioco d’azzardo e quanto invece con l’applicazione, la lettura e la disciplina si possano raggiungere dei risultati, anche minimi ma che possano portare immense soddisfazioni, non solo economiche.
Oggi a distanza di qualche mese da quando per la prima volta le dissi che giocavo a poker online, non solo accetta che io trascorra del tempo al PC per dedicarmi a questo fantastico gioco che noi tutti amiamo, ma spontaneamente è arrivata ad interessarsi a tal punto da iniziare a leggersi libri di poker, ad iscriversi ad una poker room per giocare i suoi primi tornei da 50 centesimi.
Questo non sarebbe mai accaduto se agli inizi, anziché spiegarle che come i professionisti tengo costantemente aggiornati i miei risultati, ho un bankroll che rispetto, curo un blog e mi occupo di beneficenza all’interno del mondo poker, le avessi fatto pesare di aver rinunciato a giocare un importante torneo che dava la qualificazione ad un evento live per andare a cena a casa di amici a seguito di un invito dell’ultimo minuto.
La vita è un compromesso, e il rapporto poker/“real life” ne è un esempio.
Andrea Sterpa