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Le Pagelle del Tavolo Finale delle WSOP!
LAS VEGAS – L’esame, il tavolo finale del Main Wsop 2010, era il più tosto che possiate immaginare per un poker pro, cash game contro durrrr, Antonius e Ivey a parte. I November Nine non si aspettino quindi di ricevere voti altissimi, anche se sono i cocchi del prof come Filippo Candio.
Alla lavagna uno per volta, è il momento di farsi dare il voto. Eccovi servite le pagelle del Final Table. E non prendetevela, che tanto poi come sempre il professore non capisce una mazza.
Jonathan Duhamel (heads up, 188.950.000 in chip): Voto 7,5. Parte da chip leader, gioca bene senza voler strafare, e le carte lo aiutano al punto da farlo arrivare da dominatore all’heads up che domani sera potrebbe valergli il titolo di campione del mondo. La sua principale dote è quella di riuscire a non perdere la testa in un momento difficile in cui, dopo aver perso A-K contro A-A di Candio, scende nella seconda metà chip count e sembra che tutti ce l’abbiano con lui. Invece che “tiltare” si rimette tranquillo, e domani potrebbe compiere l’impresa della vita. Da rivedere gli atteggiamenti da pugile abbastanza ridicoli per un piccoletto gracilino come lui. Peso mosca.
John Racener (heads up, 30.750.000 in chip): Voto 6 meno meno. “Mi aspettavo un superduro, ma mi ha deluso” dice Candio quando la notte è già fonda su Las Vegas. Vero. Racener gioca col freno a mano tirato per tutto il giorno, e comincia pure a fare errori sul far della notte, chiamando più volte rilanci fuori posizione con quindici bui dietro. Eppure, complice un trappolone teso a Candio in blind war (Q-Q slowplayate da piccolo buio), un flip vinto e un AQ con cui spacca AK di Mizrachi nel suo peggior momento, il buon John arriva a giocarsi l’heads up per vincere il titolo. Con tanti ringraziamenti allo spregiudicato Cheong. Sarebbe da insufficienza, ma ci vuol coraggio a dare un brutto voto a uno che potrebbe anche vincere il braccialetto. Fossimo parenti di Cheong, sarebbe da 5. Da nitty italici cresciuti negli anni in cui nel Belpaese governavano la Democrazia Cristiana e i Socialisti, gli diamo un politico sei meno meno. Agnellino.
Joseph Cheong (terzo, 4.130.049 dollari): Voto 8. Se il braccialetto si potesse assegnare ai punti, vincerebbe lui. E’ aggressivo, non ha paura di giocare tanti piatti, e ha due palle toste come l’acciaio che gli permettono di ovviare anche a un paio di colpi di troppo persi, vedi qualche flip e il 60%-40% in blind war contro Senti. Ecco, a volergli fare un appunto il suo maggior pregio finisce per essere la sua rovina, perché troppo coraggio a volte può costarti caro, e lui (che “6betta” all in in blind war con A-7 contro l’altro big stack Duhamel che lo chiama a fatica con due donne) lo ha imparato a caro prezzo, tipo 5 milioni di dollari di differenza tra il terzo e il primo posto. Ma vuoi vedere che tutto sommato in quel day8 quella di Candio con 5-7 non è stata proprio una “spewata” mondiale? Kamikaze.
Filippo Candio (quarto, 3.092.545 dollari): Voto 7,5. Siamo di parte, d’accordo. Però Filippo non sbaglia di molto quando dice: “Ho fatto tutto quello che potevo”. A voler essere puntigliosi, ecco, si potrebbero rivedere alcune decisioni prese in situazioni di guerra tra bui. Il riferimento è soprattutto alla mano in cui Racener dopo i fold gli “limpa” Q-Q da piccolo buio. Filippo, dopo aver accennato al rilancio, annusa la trappola e bussa, ma poi è incoerente andando a infilarsi nei guai quando su un board con Q al flop e asso al turn, segue il rivale in quarta (probabilmente in floating) e lo rilancia in quinta dovendo poi buttar sotto sull’all in di poco superiore del rivale che nascondeva set di Q. Però questo passo falso è ampiamente compensato dal super bluff mostrato in faccia a Mizrachi che manda in confusione il Grinder, o dalla serie di anonimi sette che mostra dopo i repush che fanno scappar via tutti a gambe levate. Ed è compensato soprattutto dalla grandissima capacità mostrata da Filippo nel saper leggere i “momenti” del tavolo, chiudendosi a riccio nelle fasi in cui i big stack avevano iniziato a prendersi a sportellate. Questo ormai è uno vero.
Michael Mizrachi (quinto, 2.332.992 dollari): voto 7 meno. Il pubblico è tutto dalla sua, visto che il Penn&Teller Theatre è colorato dalle 360 magliette celebrative dell’evento preparate per lui dai suoi fan. Lui risponde da par suo. Da buon diesel parte senza squilli di tromba, studia la situazione, e poi complici le batoste incassate in diversi momenti da Dolan e Cheong comincia a prendere il controllo del tavolo, diventando chip leader al break cena e soffrendo solo Candio che stranamente sembra aver preso di petto proprio lui, e con buoni risultati pure visto che si permette pure di mostrargli un gran bluff al river con busted flush draw. Quando poi, a pancia piena, il Grinder torna ma continua a essere affamato di chip, la sensazione è che possa spaccare tutto. Invece niet. Il magic moment finisce quando apre con A-8 di quadri, e si trova dietro il push di un solido Racener che lo costringe a decidere con odds che gli chiedono di vincere il 36% delle volte per giustificare la chiamata. Il colpo lì per lì gli costa solo un quinto dello stack e lui decide sofferente per un call che sa davvero essere molto marginale: di là trova a A-K che tiene. Da quel momento in poi il Grinder non vince più una mano, e esce quinto con somma delusione di tutta Las Vegas quando Duhamel non gli va sopra con gli assi preflop e Michael gliele tira tutte addosso con Q-8 su board Q-4-5. Stella cadente.
John Dolan (sesto, 1.772.959): voto 4,5. Si presenta al Final table con la spocchia di chi sente di poter fare il colpaccio, al punto da castrare sul nascere qualsiasi dibattito su eventuali ipotesi di deal o di rimodulazione del payout. “Chissà su chi mai penserà di avere edge a un tavolo come questo” si interroga Candio in una pausa del final table, infastidito più dall’atteggiamento che dal rifiuto in sé. Bella domanda, Filippo. Anche perché Dolan – dopo aver sbagliato di brutto un colpo in cui Racener apre da corto, Cheong controrilancia da bottone, e lui chiama e basta da small blind, giocando la mano fuori posizione testa a testa contro il rivale cui finisce per lasciar chiudere e pagare salato il colore nuts al river quando probabilmente l’ex quarterback della Florida lega set -, sparisce letteralmente dal gioco. Si difende da short senza prendere rischi, ma questo non gli basta a far più di sesto. Tracotante.
Jason Senti (settimo, 1.356.720 dollari): voto 5. Nguyen a parte, è l’unico che pare c’entrar poco con un tavolo finale di livello onestamente troppo alto per lui. Troppi bui difesi passivamente fuori posizione, troppo poco aggressivo. Insomma…Già tantissimo fare quello che ha fatto, ma per il tavolo finale in sé non merita la sufficienza. Anche perché, ultimo flip contro Cheong a parte, la fortuna lo assiste anche e lui non capitalizza a dovere. Pesce fuor d’acqua.
Matthew Jarvis (ottavo, 1.045.743 dollari): voto 5,5. Di primo pomeriggio si devasta lo stack in un tentativo di bluff fuori tempo contro Joseph Cheong, quando l’americano di origine orientale gli chiude probabilmente colore in faccia. Riesce poi a tenersi bene a galla da short per un po’, finché arriva la mano “so sick” contro Michael Mizrachi, che si appoggia su un open raise con A-Q e chiama i resti del canadese che spinge tutto con 9-9. Flop Q-Q-8, turn 9, river A…Mezzo voto in più per lo choc del river. Tutto rigged.
Soi Nguyen (nono, 811.823 dollari): voto 6. è seguito a Las Vegas da tutta l’azienda di apparecchiature elettromedicali per cui lavora. Delle due l’una: o è tanto antipatico che tutti sperano di toglierselo dai piedi dal posto di lavoro vedendolo diventare un poker pro, o il buy in del Main Event lo ha pagato con una colletta aziendale e tutti quanti sperano di diventare miliardari. Battute a parte, in realtà è un pezzo di pane che starebbe simpatico anche a una pianta d’ufficio. Ecco, forse per giocare a poker essere simpatici non è la dote essenziale. Fa quel che può, e da corto com’è quel che può è durare, un’oretta e mezza, tanto per gustarsi l’atmosfera. In cambio esce in flip e non becca nulla più di quanto non abbia già incassato in estate. A bocca asciutta, ma il pro mica era lui.
Rudy Gaddo