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L’ESPN ha rovinato il poker?
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Dietro questo titolo provocatorio si nasconde un’interessante articolo di Argun M. Ulgen, un blogger newyorkese che scrive di diversi sport in più media statunitensi. L’accusa è interessante più che altro perché ci permette di riflettere non tanto sul poker in se ma su come è stato offerto al grande pubblico, soprattutto quello americano.
Come al solito l’inizio di tutto si rimonta a quel 2003, quello spartiacque che potremo quasi chiamare “anno 0” del poker, l’anno di Chris Moneymaker, l’anno in cui milioni di spettatori videro un giocatore amateur qualificarsi per il Main Event delle WSOP con 20$ e vincere 2.500.000$ battendo in finale un professionista (dall’aspetto da professionista) come Sam Farha.
Siccome negli Stati Uniti la sanno lunga su come sfruttare queste occasioni per ottenere un prodotto televisivo di qualità, il programma sul Main Event delle WSOP è diventato da quell’anno un must e allo stesso tempo un punto di partenza per la ritrasmissione di qualsiasi altro evento pokeristico: le partite high stakes, il Poker After Dark…
Poker e televisione sono diventati sempre più una combinazione vincente sotto molti punti di vista. C’è chi invece, come Ulgen, pensa che il modo in cui l’ESPN (la rete che trasmette in esclusiva il Main Event) trasmette il poker stia contribuendo a offrire un’immagine storta del gioco.
“Per una rete che è così parte del boom del poker online“, dice Ulgen, “la sua enfasi sul breve termine, l’alta varianza delle mani scelte – assi che vincono una mano ma che poi vengono scoppiati dieci minuti dopo – vanno costantemente contro l’intenzione di rafforzare la percezione del poker come un gioco di abilità“.
Ulgen spiega anche che i programmi dell’ESPN non approfondiscono gli aspetti più tecnici del poker e che sono concentrati sulla parte più spettacolare del gioco, anche se concede pure alla rete un certo merito nell’essere stata comunque in gradi di evolversi nel tempo verso una ritrasmissione più completa da questo punto di vista.
Un articolo in ogni caso più provocatorio che altro, che si può collegare in qualche modo al dibattito sulla legalizzazione del poker online, in cui uno dei punti di discussione più forti è proprio la differenza fra “gioco d’azzardo” e “gioco di abilità”. Certo, Ulgen dovrebbe tener conto che comunque qua parliamo di televisione, che ha bisogno di un pubblico per sopravvivere. Alla fine se lo spettacolo non è emozionante e si riduce al primo piano di un ragazzo che suda pensando al range di fourbet in squeeze dell’avversario il pubblico, ovviamente, cambia canale.
Un’idea simile a quella già avuta da Flavio Ferrari Zumbini, che in un’intervista esclusiva ci spiegava come i nuovi Alpha8 (che la Fox Sports ha scelto come uno dei programmi di punta per la prossima primavera) non hanno senso da questo punto di vista: si rischia di avere un Final Table con otto giocatori quasi sconosciuti che non parlano, non gesticolano, non sbroccano come Phil Hellmuth e lasciano tutto il peso della trasmissione a i commentatori.
Alla fine tutte queste sono opinioni, condivisibili o meno, che fanno parte di un momento particolare nella storia del poker, dove la industria creatasi in torno a questo gioco deve farsi certe domande su come vuole far vedere il proprio prodotto non solo ai giocatori ma anche al grande pubblico. Più o meno le stesse domande che si poneva Tatjana Pasalic quando in un’intervista parlava dell'”iper-sessualizzazione” dell’immagine del poker e di come questo possa essere un’arma a doppio taglio per la propria industria.