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Global Gambling Rank, le cifre shock legate al gioco: nel 2013 gli americani hanno perso 119 bilioni di dollari!
Che siamo un popolo amante di carte, numeri e chips non lo scopriamo certo oggi. Il settore del gioco ha sempre rappresentato per lo Stato italiano una delle principali fonti di introiti.
In molti pensano che nessuno, al mondo, “gambli” tanto quanto noi. Ebbene, non è così.
La Global Gambling Industry ha infatti recentemente stilato un rapporto in cui rivela quanto soldi vengono investiti, Paese per Paese, nel mondo del gioco. La ricerca effettuata dall’azienda – da cui è escluso il nostro amato poker – ha suddiviso il settore del gambling in cinque categorie: casinò, gaming machines, betting, lottieries, interactive, other games.
Sommando le categorie appena elencate, davanti a tutti troviamo sorprendentemente l’Australia, che risulta la nazione più “spewer” del globo. Calcolando il totale investito, ogni aussie, nel 2013, avrebbe perso almeno 1.000$ in questo settore.
Subito dietro c’è Singapore (910$ pro capite), Paese che dilapida gran parte del totale all’interno dei Casinò.
In terza piazza troviamo la prima nazione europea: la Finlandia, con circa 600$ di spesa a persona, “predilige” invece tutto ciò che si può giocare “interactive“.
Noi non siamo poi così lontani: l’Italia si trova infatti sesta posizione, dietro a Nuova Zelanda e Stati Uniti, con all’incirca 450$ di perdita “a cranio”.
Il mercato principale di settore resta, ad ogni modo, quello americano: gli abitanti della confederazione a stelle e strisce, avendo una spesa pro capite di circa 480$, hanno perso nel 2013 un totale di ben 119 BILIONI di dollari. In questo secondo ranking troviamo, inevitabilmente, la Cina (76 bilioni di $) e il Giappone con 31.
Complessivamente, nella scorsa annata, sono andati in fumo ben 400 bilioni di dollari e le previsioni per il futuro dicono che il numero è destianto a crescere: nel 2018 si prevedono oltre 500 bilioni di spesa.
Ecco, di seguito, la tabella relativa alle perdite globali, con tutti i dati pubblicati dall’autorevole settimanale britannico “The economist“: