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“Bisogna sfatare l’equazione col gioco d’azzardo!” Le soluzioni di Luca Pagano per dare nuova linfa al poker
Oramai da tempo sembra che per il poker online non sia un periodo particolarmente roseo qui in Italia.
I dati sul traffico parlano chiaro, così come è chiaro che diverse room, negli ultimi tempi, preferiscano convogliare i loro investimenti in giochi dove l’abilità non ha voce in capitolo rispetto alla componente aleatoria.
Quali leve si potrebbero muovere per cambiare lo stato attuale delle cose? Ne abbiamo parlato con Luca Pagano, non solo professionista di lungo corso del team Pokerstars, ma anche stimato imprenditore del mondo del poker. Da qui è iniziata la nostra chiacchierata.
IPC: Ciao Luca, per iniziare dicci: è più dura la vita da giocatore o quella da organizzatore?
LP: Questa è una domanda che mi faccio all’inizio di ogni annata pokeristica. Sicuramente la vita del giocatore è più leggera rispetto a quella dell’imprenditore, in quanto hai meno pensieri, puoi gustarti la libertà e il tempo libero un po’ di più. Personalmente trovo più soddisfazione nel creare dei servizi e ottenere dei buoni risultati nella soddisfazione della gente. Sono comunque due cose distinte. Ognuno di noi ha diverse fasi della propria vita. Io sono ancora un giocatore e lo sarò per moltissimo tempo, ma quando ho deciso di fare l’imprenditore l’ho fatto seguendo quella che è la mia indole: all’età di 21 anni avevo una discoteca di proprietà, poi ho avuto anche un’agenzia di viaggi con la quale ho iniziato ad organizzare crociere legate al poker. Dopo anni di lavoro e di gestione si sprecano tante energie, adesso ripenso ai primi anni da giocatore con un po’ di nostalgia, ma sono molto soddisfatto di ciò che ho fatto, lo rifarei e continuerò a farlo. Nel 2015 ci saranno tante novità, sia per PaganoEvents che personalmente.
IPC: Come pensi che possa continuare a crescere il movimento italiano, anche calato nella dimensione mondiale?
LP: Ci vorrebbe un’azione congiunta di diversi fattori. Dal punto di vista della regolamentazione, poteva avere un senso avere una liquidità internazionale, anche se ormai siamo in ritardo di qualche anno. Ogni giocatore ha bisogno di confrontarsi con player di altre culture per puntare al miglioramento, quindi allargare le liquidità sarebbe sicuramente importante. Poi sarebbe fondamentale che tutti gli operatori, non solo PokerStars, tornassero ad investire sull’aspetto della comunicazione. Il terzo punto riguarda proprio la comunicazione, che deve essere più matura rispetto a ciò che è accaduto nel recente passato: tutti quanto conoscono il Texas Hold’em e le sue regole, ma gran parte delle persone deve imparare a giocare bene. Quindi la comunicazione deve essere fatta sia per avvicinare nuovi giocatori, che per tutelare, educare e gestire quelli già esistenti, mettendoli in condizione di giocare conoscendo il gioco e divertendosi. Il poker deve essere visto come un passatempo, non come un modo per risolvere i propri problemi economici: se questo messaggio non passa, si rischia di tramandare un insegnamento sbagliato in un momento storico difficile.
IPC: In Italia si gioca tanto il Texas Hold’em, ma poco a poco stanno prendendo piede nuove specialità: pensi che queste possano “scalzare” il Texas Hold’em?
LP: A caldo verrebbe da dire ‘speriamo’, nel senso che chiunque è sempre in cerca di novità. Il Texas Hold’em è un gioco incredibilmente facile da imparare nelle regole, che ha una curva molto ripida nell’apprendimento ma tende poi a essere ripetitivo. Tutti quanti, più o meno, sanno giocarci. L’Omaha è una novità, forse una specialità più tecnica rispetto all’Hold’em, e in quanto tale può essere un gioco più affascinante in questo momento. Però dovremmo iniziare a pensare anche a nuovi giochi: se si va negli Stati Uniti ad esempio si sprecano i tavoli di Mixed games, io ho scoperto il Badugi Hi-Lo Triple Draw, che è un gioco tutto sommato facile ma dalle regole non così immediate. Bisognerebbe trovare un gioco con regole elementari come il Texas Hold’em ma al tempo stesso più spettacolare e con qualche altro elemento di skill.
IPC: Siamo reduci dalla prima edizione de La Casa degli Assi: pensi che le future edizioni possano contribuire a pubblicizzare il poker, magari con l’inserimento di nuove specialità?
LP: La Casa degli Assi è stata pionieristica nel suo genere, ha avuto un grosso riscontro. Siamo molto soddisfatti, i miei complimenti vanno soprattutto a chi ci ha lavorato dentro e ad aziende come Magnolia che hanno saputo adattare il format straniero alla cultura italiana cambiandolo radicalmente. Non so dare informazioni su future edizioni, sicuramente la prima ci ha dato la possibilità di imparare: con il senno di poi qualcosa poteva essere migliorato, ma abbiamo fatto una esperienza che sicuramente tornerà utile per migliorare il format qualora dovesse essere riproposto. Potrebbe esserci l’ingresso di qualche nuovo gioco, ma la cosa importante è non allontanarsi dal vero messaggio che vogliamo dare, ovvero che il poker può essere inteso come una disciplina sportiva in cui servono preparazione e orientamento al medio-lungo periodo, studiando l’avversario, la probabilità e le statistiche. Il gioco di per sé è semplice, ma dietro c’è un universo che può essere raccontato attraverso delle cose banali, come un esercizio in palestra o una sessione con un mental coach. Soprattutto bisogna sfatare il tabù legato al poker come gioco d’azzardo: eravamo partiti bene sul piano sportivo, con l’organizzazione di tornei in cui si perdeva solo l’importo d’iscrizione, ma con l’avvento del cash game ci siamo persi tutti quanti. Non dobbiamo dimenticare che La Casa degli Assi è nato per avvicinare la gente al poker: posso capire le critiche da parte dei giocatori, ma questo format non è stato pensato per loro.