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La scuola ligure finisce sul ‘Secolo XIX’: “Il poker è un gioco di abilità mentale al pari di bridge e scacchi”
Fin troppo spesso il Texas Hold’em viene accostato al gioco d’azzardo. Nei media mainstream sono rare le occasioni in cui le gesta nei nostri ‘campioni’ vengono riportate con entusiasmo, senza che l’argomento poker venga trattato con la solita superficialità.
Nell’immaginario comune purtroppo, è ancora viva l’immagine del poker come azzardo puro, in cui l’abilità non ha voce in capitolo.
Per questo motivo quando sulla rete compare un articolo scevro da pregiudizi di ogni sorta, diventa quasi una notizia.
E’ il caso del quotidiano ligure “Il secolo XIX” che ieri ha celebrato le imprese dei propri corregionali in un pezzo firmato da Manuela Mortari.
A finire in bella mostra sono alcuni tra i giocatori del panorama pokeristico nazionale che hanno raggiunto traguardi importanti, a partire dal Campione del Mondo Rocco Palumbo, uno dei sei italiani in grado di conquistare un braccialetto alle World Series of Poker.
Professionista da sette anni, Rocco ha raccontato i motivi che l’hanno spinto ad abbandonare l’Italia per proseguire la sua carriera oltre i confini nazionali:
“Ho lasciato l’Italia per mancanza di stimoli. C’è ancora molto ‘gioco’ e un buon margine di profitto e sicuramente rimanere in un campo dove si ha la conoscenza della maggior parte degli avversari è pur sempre un ottima scelta. Non voglio dire che non gioco per i soldi ma per la gloria – ha dichiarato’Roccoge’ – perché non è vero, ma per giocare al meglio ed essere motivati a farlo tutti i giorni, bisogna averne voglia e apprezzare il proprio lavoro, e a me questo mancava sui siti italiani”
Tra gli altri emigrati eccellenti ‘Il Secolo XIX’ menziona il team pro Poker Club Giuliano Bendinelli e Paolo ‘preferiti90’ Cavanna.
“Lavoravo come cameriere a Londra in un ristorante italiano, lì ho conosciuto Giuliano Bendinelli, un altro pro genovese che vive nella City – spiega Cavanna – Mi sono appassionato subito e ho iniziato a vincere. Si comincia alle 22 e si finisce alle 4 o alle 5 di solito, a volte gioco anche al pomeriggio, diventa difficile vedere i tuoi amici”
Il quotidiano ligure dà spazio anche a Matteo Bonelli e allo specialista di cash-game Attilio Innocenti. Il primo, ingegnere di formazione, ha addirittura lasciato un posto in azienda per inseguire il suo sogno, trasferendosi in pianta stabile alle Canarie, anche se afferma di accusare un po’ di nostalgia per casa: “sto pensando di tornare a Genova“.
La vita di un professional poker player, per quanto possa ricordare quella di un piccolo imprenditore, è più difficile del previsto, almeno a detta di Rocco Palumbo:
“Non è come una normale piccola azienda autonoma, dove se tutto va bene e i guadagni ci sono finisce lì. Gli errori di gestione fanno dei disastri su cui non si può tornare indietro. La maggior parte dei professionisti non regge per mancanza di disciplina, molto spesso perché nessuno lo interpreta come un vero lavoro. Il rischio diventa quello della ludopatia”
“Un pro – ha aggiunto Paolo Cavanna – per poter vivere tranquillo e potersi permettere anche qualche sconfitta di troppo, dovrebbe guadagnare almeno 30-50 mila euro all’anno. A chi vorrebbe cominciare adesso non consiglierei questo lavoro per niente al mondo, c’è un livello troppo alto“