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Lo straordinario viaggio a Macao del rounder Tony G.: la partita al Wynn e l’incontro con Johnny Chan
Antonio è un grinder di cash game live. Attratto da ogni spot più EV, nel suo peregrinare ai tavoli verdi è andato anche nella nuova Eldorado del poker, Macao. Su ItaliaPokerClub pubblica a puntate il diario del suo viaggio.
(Il viaggio da Venezia)
(Alla scoperta delle usanze locali)
E veniamo al poker. Nel periodo in cui siamo stati (maggio 2016) erano in corso i tornei dell’APT (Asian Poker Tour). Non prendete paura se vedete il costo del buy-in, espresso in dollari. Sono Hong Kong Dollars. Scelgo un torneo da 3.000 dollari di iscrizione, ma sono circa 350 euro.
Sinceramente non ricordo di aver mai giocato decentemente un torneo in località che avessero una così ampia differenza di fuso orario con l’Italia. Generalmente i miei raid all’estero durano tra i 7 e i 10 giorni, e non c’è mai il tempo di smaltire il fuso orario. Personalmente faccio fatica ad affrontare un torneo dove devo restare concentrato magari per 12 ore, e dove rischi di essere punito irrimediabilmente al primo errore. Col cash è diverso, un errore non è mai irrimediabile, e poi posso decidere di fare sedute più brevi.
Questa volta, tuttavia il problema non si pone. Dopo 3-4 ore il torneo è già poco giocabile, decido di giocare una mano, vengo coinvolto in all in con K-K , perdo e vado.
L’APT si gioca al City of Dream, a Cotai. Albergo bellissimo, dentro e fuori. Casinò enorme. Poker room aperta e accessibile facilmente, moltissimi tavoli (una cinquantina) neri, moderni. A latere dei tornei si gioca cash. C’è attività pokeristica ogni volta che c’è un evento e una serie di tornei.
A volte, in assenza di tornei, sono stato in serata ma non ho trovato action. So che talvolta ci sono state partite spettacolari, tra big del poker mondiale, ma io racconto dei livelli popolari e accessibili a tutti. E di quello che vedo e posso testimoniare.
Allora decido di concentrarmi sul cash. Alloggiando all’MGM, mi tocca uscire in quanto al momento all’MGM non ci sono tavoli di poker. Vado al Wynn, che è a venti metri di distanza.
A mio personalissimo giudizio, all’interno il Wynn è il più bello dei casinò a Macao. Uno stile a metà tra il Bellagio e il Wynn di Las Vegas, elegante, soft, assolutamente confortevole. La poker room è in una sala divisa a metà con altri giochi di casinò. Una decina di tavoli. La mattina già 5-6 tavoli operativi. Si trovano sempre anche 1-2 tavoli di Omaha. Mi sistemo al 25-50 (tradotto in euro è un 3-6). Ogni tanto si trova anche 100/200 (equivalente ad un 12/24 in euro). Al tavolo si trovano anche europei. Il tavolo è molto loose aggressive. Molto. Per paradosso, io che generalmente sono uno che viene considerato uno che spinge, qui mi ritrovo a esser cauto e a cercare di evitare missili che mi vengono lanciati da tutte le parti.
Una sola mano: da big blind mi appoggio in un piatto tribettato con K-K-7-8 double suited e altri 4 player nel piatto. Al flop 5-6-9 con due cuori, e io non ho cuori. Lo small blind checka, io vado di pot. Quando la parola torna a me, dopo il giro completo, gli altri 4 sono tutti all in! E che bel ben arrivato! Era la mia seconda mano. Ok, foldo e vado a farmi un cappuccino e torno tra dieci minuti. Non sono ancora ben sveglio.
A proposito di poker ricordo che un paio di anni fa ho avuto la fortuna di incontrare a Macao Johnny Chan, dieci braccialetti alle WSOP, vincitore del main Event due volte consecutivamente. Grazie alla mia personale amicizia col Direttore del MGM avevo una tessera che mi consentiva di accedere anche al privè al primo piano.
Si entra inserendo una tessera in un lettore, e si accede al mondo riservato e appartato dei grandi gamblers.
Saloni eleganti, personale a disposizione pronti a soddisfare ogni richiesta. Tavoli con puntata minima 5.000 e 10.000 dollari. Con la mia solita curiosità, non potevo mancare di fare un sopralluogo, un’occasione da sfruttare irripetibile.
Mi siedo, cerco di assumere un contegno da big gambler. Ordino un po’ di riso, un po’ di pollo e del vino rosso. Mentre sorseggio un rosso francese (non si paga nulla: cibo, liquori e tabacco completamente gratis). Vedo ad uno dei tavoli, il mito di noi pokeristi nati (pokeristicamente) negli anni 90, Johnny Chan. Non oso avvicinarmi, neanche al tavolo dove sta giocando. Però è un’occasione che non posso perdere.
Chiamo immediatamente il mio amico direttore del Casinò e gli chiedo se nell’intervallo, tra un sabot e l’altro, mentre il croupier fa le carte, qualcuno dei suoi può chiedergli se posso fargli 2 domande 2, per una rivista italiana di poker. Risposta affermativa. Quando il sabot al tavolo termina, il direttore di sala si avvicina a Johnny e gli parla. Lui si volta, mi individua. Io sono imbarazzatissimo, mi secca disturbarlo.
Però lui viene sul divano dove ero seduto. Allegro, sorridente, cortese, disponibilissimo. Mi mette completamente a mio agio, mi chiede dell’Italia. Gli chiedo subito del suo segreto per restare in forma per anni, in un arco di tempo che va dal poker pre internet e prima ancora (ricordo che ha vinto il Main Event negli anni 80) ad oggi. Lui mi dice che accanto alle capacità pokeristiche, ritiene che fondamentale sia mantenere un’assoluta buona condizione fisica.
Necessaria per supportare la testa nelle sedute fiume, nelle decisioni, nello stare sempre al top. E lui non sa, ma io posso confermare che Johnny ci tiene particolarmente al tenersi in forma; lui non può sapere che io l’ho già incontrato due volte, alla palestra e alla Spa del Bellagio a Las Vegas. Gli chiedo quali sono le differenze tra il giocare a poker a Las Vegas e a Macao. Mi sorride, mi dice che ho visto giusto. Si tratta probabilmente di due giochi molto differenti.
Le regole sono le stesse, ma l’approccio è completamente diverso. A Las Vegas, gioca più con la testa, di strategia, di livelli di pensiero, di tecnica pura. A Macao si gioca di coraggio, di forza, di istinto. Mi conferma che spesso al tavolo, con i giocatori che vengono dalla Cina per sfidare i big del poker, lo scontro diventa personale, spesso prevale il desiderio di mostrare forza e coraggio. Passare da una città all’altra comporta un necessario adeguamento nello sviluppo del proprio gioco.
Intanto son passati una decina di minuti, il gioco al tavolo dov’era seduto Johnny sta per riprendere. Non oso bloccarlo ancora.
Lo saluto e lo ringrazio, sperando che un giorno potremmo ospitarlo in Italia in qualche torneo, se arriveremo mai ad avere tornei per big a livello mondiale.