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il 17 Mar 2019

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La cultura della Poker Face

La cultura della Poker Face

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Il termine “Poker Face” è uno dei termini più conosciuti dalle persone, giocatori o meno.

Ci si riferisce al volto usato dai giocatori di tornei live per nascondere le proprie emozioni dietro un’espressione impassibile.

Dunque “Poker Face” può assumere due significati: ingannare quando non si ha niente oppure nascondere qualcosa.

Con un contributo pubblicato sul blog internazionale di PokerStars vediamo come nel corso della storia il termine ha influenzato ogni disciplina, dalla scrittura allo sport.

 

Vuoi vincere? Assumi una Poker Face

Nel 1875 l’autore britannico Henry Jones scrive “Round Games at Cards”.

Nel libro Jones la voce narrante di “Cavendish”, descrive varie modalità di gioco nel poker e i termini più comuni associati.

Tra i vari suggerimenti che fornisce come consiglio di strategia generale, Jones dichiara che “Possedere una buona Poker Face è un vantaggio”.

Cavendish da un significato alla propria frase considerando che chiunque sia intenzionato a giocare bene non tradirà mai il valore della sua mano con un gesto oppure cambiando espressione.

Se si vuole avere successo nel poker non ci si può permettere di trasmettere qualcosa con la propria espressione.

Ogni giocatore esperto giudica l’espressione per intuire il valore della mano.

 

Le “Poker Face” lontano dai tavoli

Dopo il successo del singolo di Lady Gaga “Poker Face”, la frase assunse sopratutto tra i giovani un significato figurativo, entrando a far parte della conversazione quotidiana tra le persone.

Sono tanti i riferimenti delle Poker Face nella musica per esempio.

Ci si riferisce agli sguardi che non rivelano sentimenti, espressioni e risposte impassibili.

Durante gli anni ’20 e ’30 Helen Wills Moody, campionessa di tennis, vinse 19 titoli del Grand Slam Single di cui 8 a Wimbledon.

Il suo stile era uno stile nuovo e privo di emozioni, ignorava sia i suoi avversari sia la folla vincendo un torneo dopo l’altro.

Grantland Rice, famoso giornalista sportivo, descrive Wills come “Little Miss Poker Face”.

Nel 1933 il drammaturgo Eugene O’Neill scrive “Days Without End”.

Il dramma sperimentale è composto da una regia teatrale in cui ad un personaggio viene incaricato di assumere un’espressione importante, l’accogliente “poker face” del classico uomo d’affari americano.

Nel 1943 il romanziere Graham Greene scrisse una recensione della biografia di Hesketh Pearson, autore di Sherlock Holmes.

Greene intitola il suo breve saggio “The Poker Face” ed in esso si congratula con Pearson per essere stato capace di scoprire a tal punto Arthur Conan Doyle per farlo vivere al lettore.

A tal proposito, Maria Konnikova scrive articoli sulle sue deduzioni del libro su Doyle e le storie di Sherlock Holmes: “Mastermind: Come pensare come Sherlock Holmes”.

Letture perfette per un giocatore di poker anche se non parlano nello specifico di poker.

In “The Poker Face”, Greene descrive la faccia da poker in un modo particolarmente poetico.

“Qualcuno ha visto quella faccia in più di un centinaio di bar: la ciocca di capelli sull’ampia fronte bianca, i suoi baffi grossi a punta, gli occhi fermi e di buonumore. Un uomo che sa dispensare divertimento ma sa anche quando farlo cessare. Indossa un completo scuro e gli stivali ben lucidati; Sherlock Holmes avrebbe potuto dedurre da questo aspetto magnificamente aperto qualche scomoda verità?”.

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L’espressione del volto

Si potrebbero elencare molti altri esempi di “Poker Face”, in politica, sport, affari, guerra.

Avere una Poker Face equivale ad essere illeggibile.

Vuol dire nascondere una “verità scomoda” dietro quell’apparenza che solo qualcuno con uno spirito d’osservazione di livello Holmesiano potrebbe essere in grado di smascherare.

Il fotografo Ulvis Alberts ha intitolato la sua ben nota e molto ambita raccolta di fotografie “Poker Face”.

Pubblicata nel 1981 per la prima volta, e nel 2006 con “Poker Face 2”, il suo titolo ha avuto un significato letterale simbolico.

Nei suoi scatti sono catturate tutte le espressioni dei più grandi giocatori che custodiscono i segreti della mano.

Segreti che vale la pena studiare.

Anche l’antropologo David Hayano scelse deliberatamente il titolo per il suo studio del 1982 sui giocatori di poker della California “Poker Faces”.

Hayano credeva che ci fosse qualcosa di cui valeva la pena investigare nelle espressioni apparentemente imperscrutabili dei giocatori seduti intorno ai tavoli da poker nei club della California.

Nel 2007 “The poker Face of Wall Street”, di Aaron Browndescrive le affinità tra il gioco di carte e la finanza moderna.

Molti parallelismi e strategie sono simili in entrambi i casi.

C’è anche un’altra connotazione che indica come Brown intenda rivelare qualcosa di nascosto su come funziona Wall Street.

 

The Patrick Antonius Way

Dan Harrington e Bill Robertie hanno fornito ai loro lettori un esempio estremo di una solida “Poker Face” nel volume II di Harrington pubblicato nel 2008 “Cash Games”.

Il libro descrive come evitare di rivelare i propri Poker Tells, ovvero quei piccoli ma importantissimi dettagli che consentono di farsi un’idea più o meno chiara sulla forza della mano degli avversari.

Un metodo che raccomandano è quello che chiamano “The Patrik Antonius Way”, ovvero l’approccio adottato dal professionista finlandese.

“La difesa di Antonius contro i Poker Tell è semplice. Dopo aver fatto una puntata importante, si siede al tavolo, rigido come una tavola, e fissa silenziosamente un punto fisso nel vuoto”.

La sua Poker Face da “una buona impressione di trance catatonica” secondo gli scrittori.

Dopo che il suo avversario agisce “rientra nel suo corpo e si ricongiunge ai vivi”.

 

 

 

Photo credits: PokerStars

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