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Cosa serve per diventare un fuoriclasse a poker
Come si diventa dei fuori categoria a poker?
Chiariamo subito che non è affatto semplice, il percorso è lungo ed è fatto di studio, sacrifici e ore passate davanti al computer invece che con gli amici o i propri cari.
Sugli annali del poker ci sono individui che hanno bruciato le tappe iniziando a macinare risultati da subito. Online si può pensare a Viktor ‘Isildur1’ Blom o Linus ‘LLinusLLove’ Loeliger, nel poker dal vivo, giusto per fare un nome, a Jason Mercier che vinse il Main Event EPT Sanremo al suo primo in the money a un torneo live (ma aveva giocato molte mani prima).
Ma queste esplosioni sono eccezioni alla regola, casi singoli entrati nella storia del gioco. Per i “comuni mortali” le cose vanno diversamente.
Diecimila ore di pratica
Parlando di performance il punto di riferimento è il libro “Fuoriclasse. Storia naturale del successo” in cui il saggista statunitense Malcolm Gladwell ha esaminato le parabole di diversi fuoriclasse nei rispettivi campi d’azione, da Bill Gates ai Beatles, per cercare un minimo comune denominatore.
Nel suo studio Gladwell non ha considerato il ruolo di un eventuale talento naturale ed è arrivato a stabilire che per diventare fuoriclasse servono almeno diecimila ore di pratica.
Un numero vertiginoso: diecimila ore equivalgono a 416,6667 giorni ossia un anno e quasi due mesi interamente passati a fare una determinata cosa – nel nostro caso giocare a poker o studiarlo.
Stante solo il tempo che dobbiamo usare per i bisogni fisiologici – mangiare, dormire, andare al bagno – il tempo di vita necessario a raggiungere il traguardo si allunga di qualche ulteriore anno. Sempre a fare la stessa cosa, badate bene. Se non c’è passione o una motivazione fortissima, arrivati a un certo punto, andare avanti può essere davvero dura.
L’importanza di affiancare la quantità alla qualità
In realtà, almeno per quanto riguarda il poker, trattandosi di uno sport della mente e non fisico, più che una data quantità di tempo è determinante la qualità di questo tempo.
Giocare su quattro tavoli mentre si guarda un film e si butta un occhio a Facebook è ben diverso dall’essere completamente assorbiti nel flusso del gioco. L’ideale sarebbe scegliere ogni giorno un piccolo aspetto in cui migliorare e concentrarsi su quello, oltre che sulla ordinaria amministrazione.
A giocare distratti le possibilità di migliorare si riducono al lumicino, così come quelle di giocare bene, del resto. Di recente un campione come Phil Ivey ha raccontato che durante le lunghe sessioni live di inizio carriera era calato nel gioco con ogni fibra del corpo. Ovviamente nessuno vi chiede di diventare Phil Ivey, è solamente un esempio che ci permette di capire il processo necessario, ma probabilmente da solo non sufficiente, a poterlo diventare.
Le giuste condizioni
Nella formazione del fuoriclasse ha un ruolo determinante anche il contesto. Per spiegare l’importanza delle condizioni ambientali favorevoli Gladwell scrive che Gates, alla fine degli anni ’60, si trovò in una delle pochissime scuole al mondo che offriva agli alunni l’uso di un computer all’avanguardia, e che i Beatles diventarono i Beatles grazie al periodo ad Amburgo in cui suonarono per locali come non ci fosse un domani.
Nel poker il contesto può agire sotto diverse forme, dall’ambiente familiare al quadro legislativo. Basti pensare che da Dario Sammartino a Mustapha Kanit, i giocatori italiani che si sono affermati negli ultimi anni a livello mondiale sono emigrati per potersi confrontare con i più forti giocatori del mondo ed evolvere: fossero rimasti nell’acquario chiuso del punto it i loro destini pokeristici sarebbero stati sicuramente diversi.
Onore al merito, anche perchè, come scrive Gladwell nel libro, “l’albero che cresce più alto è quello che non ha trovato altri alberi a ostacolargli la luce del Sole.”