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Venti anni fa l’edizione del Main Event WSOP più controversa di sempre
Sono passati esattamente venti anni da quella che con ogni probabilità fu l’edizione del Main Event WSOP più controversa di sempre.
Nel 2001 la famiglia del creatore delle World Series Of Poker, Benny Binion, decise di introdurre una novità che venne particolarmente osteggiata dai giocatori, che minacciarono addirittura di attivarsi per spostare i campionati del mondo di poker in un altro casinò. Tutto ruotava attorno alla ‘fee’.
Quella percentuale indigesta
Per chi non lo sapesse, la quota di iscrizione che viene pagata nei tornei di poker è divisa in due parti: c’è il buy-in, ossia i soldi che finiscono nel montepremi, e c’è la entry fee, che sono soldi che vengono trattenuti dalla casa da gioco per coprire le spese degli impiegati e di altro tipo.
Sin dalla sua origine, il Main Event non aveva mai avuto una entry fee: i 10 mila dollari che i giocatori pagavano per iscriversi finivano tutti nel montepremi.
Questo fino al 2001: quell’anno, pochi giorni prima che le World Series stavano per iniziare, Becky Binion annunciò che il casinò Horseshoe avrebbe trattenuto il tre per cento del prizepool di tutti i tornei. Parole studiate ad arte per evitare di pronunciare esplicitamente il nome del Main Event, ovviamente.
Secondo le dichiarazioni di Binion, quei soldi sarebbero serviti per pagare dealers e floorman, che molto spesso dovevano contare sulle mance per far quadrare i conti.
Le rimostranze
In un primo momento nessuno ebbe da obiettare. Quando diventò di dominio pubblico la lista del ‘personale di torneo’ che si sarebbe divisa la fee del Main Event WSOP, però, diversi pokeristi storsero il naso e fecero la voce grossa.
Accanto a dealer e floorman nel personale erano infatti inclusi i lavoratori delle casse, gli operatori dei computer e i commessi al payroll.
“Quando sentimmo di quel tre per cento di montepremi che era stato tolto ci aspettavamo che andasse ai dealer e ai floor del torneo – disse il poker pro Paul Phillips, una delle voci più critiche riguardo il cambio di policy – Se Binion vuole un supplemento di salario per i suoi impiegati dovrebbe alzare la fee invece che togliere soldi dal montepremi”.
Per Philips, quindi, il nodo principale del contendere era che la fee fosse già inclusa nel buy-in del torneo, e che andasse non solo a dealers e floormen che erano effettivamente impegnati nel torneo ma a tutti i dipendenti della casa da gioco.
Ban per le voci fuori dal coro
“Non prendo un penny da quei soldi, così come la mia famiglia. Sono soldi che andranno agli impiegati che daranno carte ai tornei per tutto il mese – disse Becky Binion piuttosto seccata dalle rimostranze.
La figlia di Teddy incaricò la security dell’Horseshoe di occuparsi di Phillips che aveva criticato la sua scelta. Il professionista venne preso da un tavolo della card-room a notte fonda e fatto accomodare fuori dalla casa da gioco, con l’avviso che non sarebbe stato un ospite gradito neanche durante le World Series Of Poker. La ritorsione di Binion nei confronti di Phillips non passò inosservata.
“L’Horseshoe sta giocando con il fuoco. Ci sono rumori che i giocatori sono arrabbiati e ci sono diversi casinò in tutto il paese che potrebbero pensare di ospitare un campionato del mondo”.
Tutto rientrato
Lo strappo venne poi ricucito. Phillips prese parte alle World Series e in quella edizione piazzò una bandierina finendo decimo all’evento S.H.O.E. da 2.100$ di buy-in.
Il Main Event iniziò il 14 maggio e vide ai blocchi di partenza 613 iscritti. Il 3% che venne accantonato come fee era di 183.900$, per il montepremi restarono 5 milioni 946 mila 100 dollari.
Il titolo andò allo spagnolo Carlos Mortensen (foto in alto) che fu il secondo europeo a conquistare il torneo più ambito del mondo due anni dopo l’irlandese Noel Furlong. Phil Hellmuth si fermò in quinta posizione, Daniel Negreanu in undicesima.
Dopo quell’anno il Main Event WSOP non sarebbe più stato lo stesso.