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Poker nei Circoli – Parere del Consiglio di Stato
“VISTA la relazione del 19 settembre 2008, pervenuta il 22 settembre successivo, con la quale il Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza – ha chiesto il parere sul quesito in oggetto;
ESAMINATI gli atti e udito il relatore-estensore consigliere Mario Luigi Torsello;
RITENUTO
1. Riferisce l’Amministrazione che il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sembra aver introdotto rilevanti modifiche alla legislazione vigente con particolare riferimento alle disposizioni contenute nel codice penale in materia di gioco d’azzardo.
In particolare, il comma 1 dell’art. 38 dispone che, al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, l’evasione e l’elusione fiscale nel settore del gioco, nonché di assicurare la tutela del giocatore, con regolamenti sono disciplinati, entro il 31 dicembre 2006 “i giochi di abilità a distanza con vincita in denaro, nei quali il risultato dipende, in misura prevalente rispetto all’elemento aleatorio, dall’abilità dei giocatori. L’aliquota d’imposta unica è stabilita in misura pari al 3 per cento della somma giocata; i giochi di carte di qualsiasi tipo, qualora siano organizzati sotto forma di torneo e nel caso in cui la posta di gioco sia costituita esclusivamente dalla sola quota di iscrizione, sono considerati giochi di abilità” (comma 1, lett. b), dell’art. 38, come modificato dall’art. 1, comma 93, della legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Il tenore del citato comma 1 ha indotto talune associazioni private di giocatori di poker, nella variante denominata “texas hold’em” o “poker sportivo”, a ritenere che ogni gioco di carte realizzato “dal vivo,” anche se d’azzardo, qualora venga praticato con le modalità rappresentate nel menzionato art. 38, perde la connotazione illecita, divenendo un gioco di abilità.
Alcune di queste associazioni che, nel frattempo, sono proliferate su tutto il territorio nazionale, hanno prodotto istanze alle questure al fine di ottenere il nulla osta per lo svolgimento di tornei di poker “texas hold’em”.
2. Il fenomeno si è rapidamente sviluppato sull’intero territorio nazionale, assumendo considerevoli dimensioni in relazione alle somme di danaro messe in gioco ed alle connesse problematiche di ordine e sicurezza pubblica.
Da un esame d’insieme emerge che gli organizzatori dei tornei di poker presentano un’istanza alla questura competente per territorio e, richiamato il decreto-legge 223/2006, rappresentano che intendono svolgere un torneo di poker in un determinato esercizio pubblico, ad una data prestabilita, evidenziando anche che la partecipazione al torneo sarà consentita a quanti verseranno una quota di iscrizione, anch’essa predeterminata e destinata all’acquisto di premi da distribuire ai giocatori meglio classificati. Le quote di partecipazione risultano essere di valore variabile, generalmente attestate sui 50 euro, benché siano stati rilevati anche casi in cui la quota di iscrizione è stata fissata in 1500 euro. Nominalmente tali quote sono prestabilite e, di fatto, in nessun caso interamente destinate all’acquisto dei premi da attribuire ai vincitori, atteso che una parte delle stesse, in valore variabile dal 10 al 20%, verrebbe destinata a l ristoro dei costi sostenuti dagli organizzatori che non vengono in nessun caso documentati.
E’ stato altresì riscontrato che anche con quote di partecipazione modeste, quando il numero di giocatori è rilevante, si ha una crescita esponenziale del montepremi ed ovviamente del cosiddetto rimborso spese, come pure, in alcuni casi, i regolamenti di gioco hanno consentito l’acquisizione di ulteriori fiches (c.d. rebuy) o la riammissione in gioco del giocatore eliminato tramite la partecipazione, nel corso dello stesso torneo, ad una nuova partita, previa ulteriore acquisizione della quota di ammissione.
Tale circostanza, apparentemente irrilevante, determina, da una parte, l’impossibilità di predeterminare con esattezza la somma totale delle quote raccolte e, dall’altra, consente la distrazione di denaro che teoricamente dovrebbe affluire interamente nel montepremi.
3. Secondo l’Amministrazione dell’interno il legislatore con il d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani) si è preoccupato di chiarire la portata della norma, introducendo unicamente alcune importanti novità nella disciplina del gioco lecito, istituendo i giochi di abilità a distanza con vincita in denaro gestiti dallo Stato, consentendo a persone fisiche e/o giuridiche legittimate dall’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato l’acquisizione di una concessione a gestire il mercato del gioco pubblico on-line con i c.d. skill game.
Diversamente argomentando, dovrebbe addivenirsi all’inverosimile ipotesi che il citato decreto-legge 223/2006 abbia tacitamente abrogato le disposizioni codicistiche contenute negli artt. 718 e segg. del codice penale relative al gioco d’azzardo.
Al contrario, la collocazione sistematica e la natura eminentemente finanziaria della norma pare idonea a suffragare l’interpretazione per cui le “Misure di contrasto al gioco illegale” di cui all’art. 38 riguardano la disciplina pubblicistica dei giochi on-line, rimanendo esclusi da qualsivoglia regolamentazione i tornei di carte realizzati tra persone fisiche “dal vivo”.
Posto dunque che il poker “dal vivo” non è in alcun modo regolamentato dal “decreto Bersani”, resta da esaminare se tale gioco di carte debba qualificarsi come d’azzardo o come gioco lecito e, dunque, verificare se il suo esercizio deve essere sottoposto a restrizioni ed eventualmente in quale misura.
Secondo l’Amministrazione il poker nella variante “texas hold’em”, nella misura in cui rappresenta uno svago, può esprimere un’utilità sociale; diversamente va qualificato come gioco d’azzardo e, perciò, vietato se, in considerazione delle sue regole come concretamente applicate dagli organizzatori, esso palesi gli elementi tipici del reato.
4. Conseguentemente il Ministero passa a delineare le condizioni affinché sia possibile riconoscere il carattere di gioco lecito.
Si tali questioni, ed in particolare sulle soluzioni prospettate, chiede il parere di questo Consiglio di Stato.
CONSIDERATO
1. Il gioco d’azzardo (dal francese hasard e dall’arabo volgare az-zahr “dado” e quindi “gioco d’azzardo, rischio”) ha origini lontanissime e da sempre i sistemi giuridici lo hanno sottoposto a divieti e limitazioni.
Tradizionalmente l’atteggiamento di disfavore viene ricondotto alla necessità di incoraggiare e tutelare il risparmio (art.47 Cost.). Si richiama, anche, il valore fondamentale del lavoro (art.4 Cost.).
D’altro canto si rileva che il gioco d’azzardo spesso induce all’utilizzazione di mezzi illeciti ed in particolare all’usura per procurarsi le risorse economiche, agevola il riciclaggio e fa nascere situazioni contenziose extragiurisdizionali.
Inoltre, sotto un profilo più squisitamente soggettivo – e nei limiti entro i quali l’ordinamento può interessarsi di tali aspetti – l’elemento essenziale dell’alea fa sì che arricchimento ed impoverimento siano circostanze imprevedibili, con conseguente diminuzione delle capacità di auto-limitazione da parte del giocatore.
Tali, in definitiva, le ragioni giustificatrici dell’artt. 718 e ss. cod. pen. che prevedono il divieto del gioco d’azzardo.
2. Invero la coerenza del sistema, che già aveva già subìto un vulnus da una serie di provvedimenti che, nonostante tale divieto, avevano istituito quattro case da gioco, ha ricevuto un ulteriore ridimensionamento nell’ultimo decennio da quando, cioè, il legislatore ha intrapreso una politica espansiva del fenomeno delle scommesse, gestite anche in regime di monopolio, in cui l’elemento aleatorio, se non esclusivo, risulta predominante.
Con l’effetto di riservare allo Stato lo svolgimento di attività di gioco che presentano, in larga parte, i caratteri dell’azzardo.
In altri termini, si è verificata un’inarrestabile crescita del fenomeno dei giochi gestiti anche in forma monopolistica dallo Stato, nei quali la componente dell’alea assume un rilievo predominante, crescita determinata anche dall’esigenza di “fare cassa” a beneficio della finanza pubblica (Cons. Stato, Sez. VI, n.4321/2008 ).
Di qui la rilevata contraddittorietà, da un lato, della criminalizzazione del gioco d’azzardo e, dall’altro, della tendenza dello Stato ad incentivare la diffusione di giochi che si fondano essenzialmente sul medesimo meccanismo.
3. Parallelamente si è andato sviluppando, come in altri paesi europei, un ulteriore fenomeno – cui è possibile solo accennare – idoneo ad introdurre nuovi elementi di incertezza del sistema.
Il settore dello scommesse, che aveva caratteri prevalentemente nazionali, è divenuto di grande interesse per gli operatori economici stranieri, per i quali il nostro Paese rappresenta un mercato importante.
La materia è stata oggetto di numerose pronunce da parte di giurisdizioni supreme, sia nazionali che comunitarie.
L’attuale punto d’arrivo è costituito dalla cd. sentenza Placanica (cause n. 338/04, 359/04 e 360/04 del 6 marzo 2007), nella quale la Corte di giustizia – tra l’altro – verificato che il legislatore italiano persegue una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali, ha ritenuto che nessuna giustificazione della normativa italiana può essere fatta derivare dagli obiettivi di limitare la propensione al gioco dei consumatori o di limitare l’offerta di giochi e che, in astratto, l’obiettivo della prevenzione dell’esercizio delle attività di gioco d’azzardo per fini criminali o fraudolenti, canalizzandole in circuiti controllabili – obiettivo che viene identificato come lo scopo reale della normativa italiana – può giustificare le limitazioni alle libertà comunitarie. Lascia però al giudice nazionale la verifica del rispetto del criterio della proporzionalità con cui queste misure sono state adottate.
A tale pronuncia è poi seguita – tra le altre – la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III penale, n.16928/ 2007.
La linea di tendenza che si profila – come è stato notato – è dunque quella della trasformazione del settore delle scommesse in un vero e proprio mercato, passando da un regime di monopolio a forme di regolamentazione, pur se intensa, sempre più aperte.
4. La più recente evoluzione giurisprudenziale – anche comunitaria – tende quindi a sottolineare che l’ordine pubblico e la prevenzione della criminalità – che spesso si avvale di questo tipo di attività per riciclare il cd. denaro sporco – sono le ragioni giustificatrici della normativa in materia di scommesse.
In definitiva, quindi, la politica espansiva in tale settore, pur contraddicendo lo scopo sociale di limitare la propensione al gioco è, tuttavia, coerente con quello di evitarvi, per quanto possibile, le infiltrazioni criminali e di canalizzare le attività del gioco in circuiti controllabili (Cons. Stato, Sez. VI, n.5644/2006; idem, 4321/2008 ).
Più in particolare, è stato precisato che le citate esigenze di ordine pubblico sono connesse alla necessità di mantenere il controllo pieno e unitario sui flussi economici e finanziari rivenienti dalla gestione del gioco (Cons. Stato, Sez. IV, n.4115/2008 ).
Pare, quindi, che parte delle ragioni ispiratrici della punibilità del gioco d’azzardo – con particolare riferimento alla necessità “sociale “ di limitare la propensione al gioco – stiano affievolendo e si enfatizzino piuttosto ragioni di tutela della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, inteso in senso stretto, e quindi identificato con riferimento ai compiti di polizia e sicurezza dello Stato.
Tale è del resto l’orientamento in materia della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 185 del 2004 – richiamata dall’Amministrazione riferente – ha ritenuto come “la ratio dell’incriminazione non risieda nel disvalore che il gioco d’azzardo esprimerebbe in sé, come pure talvolta si è sostenuto. Anche in esso si manifestano infatti propensioni individuali (impiego del tempo libero, svago, divertimento) che appartengono di norma ai differenti stili di vita dei consociati; stili di vita, i quali, in una società pluralistica, non possono formare oggetto di aprioristici giudizi di disvalore. Le fattispecie penali di cui agli artt. 718 e ss., rispondono invece all’interesse della collettività a veder tutelati la sicurezza e l’ordine pubblico in presenza di un fenomeno che si presta a fornire l’habitat ad attività criminali. La stessa preoccupazione è stata del resto avvertita anche a livello comunitario: la Corte di giustizia, in p iù di una occasione (sentenza 21 ottobre 1999, causa C-67/98 e sentenza 24 marzo 1994, causa C-275/92), ha affermato che spetta agli Stati membri determinare l’ampiezza della tutela dell’impresa con riferimento al gioco d’azzardo ed ha fondato la discrezionalità di cui devono godere le autorità nazionali, oltre che sulle sue dannose conseguenze individuali e sociali, proprio sugli elevati rischi di criminalità e di frode che ad esso si accompagnano”.
5. La internazionalizzazione del mercato delle scommesse è, ovviamente, strettamente conseguente allo sviluppo delle nuove tecnologie e, in particolare, all’uso diffuso dei canali telematici (Internet, telefono cellulare e TV digitale).
I paesi dell’Unione sono dunque impegnati a governare il fenomeno del gioco – in tutte le sue manifestazioni – nei nuovi scenari offerti dallo sviluppo tecnologico, come si dirà di seguito a proposito dei giochi on-line.
Fenomeno che, indubbiamente, pone problemi nuovi e seri, come si desume anche da talune iniziative legislative di disciplina del settore (es. d.d.l. n. 284, Baio e altri, XVI legislatura, Senato) che partono dalla constatazione che è ormai in atto un passaggio verso forme di gioco sempre meno “sociali”, cioè sempre più solitarie e quindi prive di controllo e che, in taluni casi, possono sfociare in vere e proprie psico-patologie.
6. In tale quadro complessivo si colloca il quesito proposto dal Ministero dell’interno, le cui perplessità ermeneutiche costituiscono un sintomo evidente delle difficoltà in cui si muove oggi l’interprete alle prese con una legislazione che sta perdendo i caratteri di organicità e unitarietà.
Per tale ragione copia del presente parere verrà trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Segretariato generale – per l’assunzione delle eventuali iniziative di coordinamento normativo.
Da più parti, difatti, si richiede l’emanazione di una legge di settore in materia.
7. Il dubbio interpretativo concerne dunque il comma 1, lett. b), dell’art. 38, come modificato dall’art. 1, comma 93, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, con particolare riferimento alla parte introdotta da tale ultima legge.
Secondo quanto riferisce l’Amministrazione dell’interno, infatti, alcune associazioni private di giocatori di poker, nella variante denominata “texas hold’em” o “poker sportivo”, sono state indotte a ritenere che ogni gioco di carte realizzato dal vivo, anche se d’azzardo, qualora venga praticato con le modalità previste dall’art. 38, verrebbe a configurarsi quale gioco di abilità.
La questione posta non riguarda, pertanto, la liceità del poker “texas hold’em” realizzato on line, cui comunque si applica la disciplina del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 17 settembre 2007, n. 186, di cui si dirà.
8. Al riguardo occorre in primo luogo evidenziare che l’art. 1, comma 93, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, («i giochi di carte di qualsiasi tipo, qualora siano organizzati sotto forma di torneo e nel caso in cui la posta di gioco sia costituita esclusivamente dalla sola quota di iscrizione, sono considerati giochi di abilità;») deve essere interpretato secondo un criterio sistematico e, pertanto, tenendo conto del plesso normativo in cui si inserisce la disposizione (incivile est, nisi tota legge perspecta etc.…).
Tale considerazione rimanda, quindi, alla ratio complessiva che ha ispirato l’art. 38, comma 1, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
Tale ratio è normativamente – e chiaramente – espressa sia nella rubrica dell’articolo (“Misure di contrasto del gioco illegale”) sia nell’alinea (“contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, l’evasione e l’elusione fiscale nel settore del gioco, nonché di assicurare la tutela del giocatore” ).
Con la conseguenza che, come osserva anche il Ministero, la ragione giustificatrice di tali disposizioni si sostanzia – e si esaurisce – nella disciplina normativa dei cd. skill games, cioè dei giochi di abilità a distanza con vincita in denaro gestiti dallo Stato, al fine di consentire a taluni soggetti di gestirli tramite la rete Internet.
Che tale sia, del resto, la ratio delle disposizioni citate consegue anche dalla successione degli enunciati normativi secondo il seguente ordine logico: 1) previsione di regolamenti per contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, etc; 2) determinazione oggettiva del regolamento (i giochi di abilità a distanza con vincita in denaro nei quali il risultato dipende, in misura prevalente rispetto all’elemento aleatorio, dall’abilità dei giocatori); 3) assimilazione a tali giochi di abilità a distanza, normativamente sancita – ma pur sempre ai fini previsti dalla norma – dei giochi di carte di qualsiasi tipo, qualora siano organizzati sotto forma di torneo e nel caso in cui la posta di gioco sia costituita esclusivamente dalla sola quota di iscrizione.
Con la conseguenza che – per quanto qui rileva – l’ambito della norma è limitato alla disciplina dei giochi a distanza e l’assimilazione della specifica tipologia prevista di giochi di carte ai giochi di abilità avviene ai soli fini di tale disciplina.
A tali previsioni normative, del resto, sono coerentemente seguiti il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 17 settembre 2007, n. 186, con il quale è stato adottato il regolamento per la disciplina dei giochi di abilità a distanza con vincita in denaro, e il successivo decreto del medesimo Ministero del 17 aprile 2008, contenente misure per la sperimentazione di tali giochi.
9. Nessun indizio ermeneutico, pertanto, induce a ritenere che il novum introdotto dall’art. 1, comma 93, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, possa interpretarsi nel senso che il gioco di carte “texas hold’em” o “poker sportivo”, realizzato dal vivo, abbia perduto la caratterizzazione di illiceità che prima lo contraddistingueva, nei casi in cui era ascritto tra i giochi d’azzardo.
La conclusione avversata, del resto, sarebbe in evidente contraddizione con la finalità della legge che non può essere diretta – come detto – a contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale (così come testualmente prevede) e, nel contempo, ad abrogare in parte qua le disposizioni repressive del gioco d’azzardo.
Del resto, anche sotto un profilo teleologico nulla induce a ritenere che – per tale gioco di carte e qualora presenti le caratteristiche del gioco d’azzardo – sia venuta meno la ragione giustificatrice del divieto, sopra detta, consistente prevalentemente nella necessità di tutelare la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico.
Anzi tale esigenza, semmai, per quanto sopra detto, è sempre più imperiosa.
10. Una volta chiarito – secondo l’iter logico-giuridico suggerito dall’Amministrazione – che il gioco di carte “texas hold’em” non è disciplinato dal decreto-legge n. 223/2006, occorre verificare se esso si qualifichi come gioco d’azzardo o meno.
È noto che la nozione di gioco d’azzardo è data dall’art. 721 del codice poenale che stabilisce che è tale quello nel quale ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria. Sicché per aversi giuoco d’azzardo è necessario il concorso di due elementi, l’uno di carattere oggettivo, l’aleatorietà della vincita o della perdita, inerente al giuoco stesso, l’altro di carattere soggettivo, il fine di lucro delle persone partecipanti ed interessate.
E’ vero che non esiste una catalogazione normativa dei giochi considerati d’azzardo e che pertanto l’individuazione degli stessi è affidata all’elaborazione giurisprudenziale.
In questo senso – come avverte la stessa Amministrazione – la giurisprudenza prevalente è dell’avviso che il poker debba essere considerato gioco d’azzardo. In effetti, in base all’argomento che — se anche la scelta di entrare o meno in gioco, dopo la distribuzione delle carte, dipende dalla decisione del giocatore — l’ulteriore sviluppo della partita, che porta sino alla sua vittoria, è determinato, in prevalenza, dal caso.
E’ stato peraltro da tempo autorevolmente sottolineato che il semplice riferimento al nomen del gioco potrebbe portare ad un’erronea ricostruzione, in quanto un gioco può subire delle modifiche in relazione alle modalità concrete di svolgimento. In sostanza la valutazione del carattere aleatorio del gioco deve effettuarsi con riguardo alla natura dello stesso ed alle regole che lo governano, onde accertare quanta parte dell’esito, positivo o negativo, è rimessa al caso e quanta, invece, dipende dall’abilità e dalla perizia del giocatore.
A ragione, pertanto, l’Amministrazione sostiene che il poker, in via astratta qualificabile come gioco d’azzardo, potrebbe divenire lecito in relazione alle specifiche modalità di svolgimento.
11. Il Ministero dell’interno ritiene che la realizzazione di tali manifestazioni debba essere vietata qualora la partecipazione ai tornei sia consentita previo versamento di una quota di iscrizione di valore “tutt’altro che modesto”.
Tali conclusioni sono da condividere, con la precisazione che il fine di lucro sussiste anche quando la posta ha un valore minimo (Cass. n. 33253 del 2 agosto 2007; Sez. 3, n. 4271 del 26 febbraio 1991) ovvero modesto (Sez. 3, n. 1722 del 7 febbraio 1986; Sez. 3, n. 1784 del 5 dicembre 1984) o di scarsa entità (Sez. 6, n. 693 del 13 aprile 1967 ) o tenue (Sez. 3, n. 1026 del 3 marzo 2000; Sez. 6, n. 455 del 24 febbraio 1970; Sez. 6, n. 693 del 13 aprile 1967; Sez. 4, n. 1106 del 18 aprile 1966).
Va escluso invece quando tale valore sia del tutto irrilevante (Cass. Penale n. 33253 del 2 agosto 2007; Sez. 3, n. 4271 del 26 febbraio 1991) o quando la posta sia talmente tenue da indurre a ritenere non sussistente lo scopo di conseguire un guadagno economicamente apprezzabile (Sez. 3, n. 7144 del 6 maggio 1998
Sembra invece recessivo, invece, l’orientamento secondo cui il fine di lucro, ancorché associato ad altri fini, si ha tutte le volte che il giuoco è esercitato per conseguire vantaggi economicamente valutabili, salvo che la posta sia esigua, tenuto conto delle modalità del giuoco e della celerità delle partite, sicché si possa affermare che essa serva esclusivamente a dare maggior vivacità al giuoco; in tal caso lo scopo del giuoco è il solo divertimento e il lucro non si prospetta ne’ come fine prossimo od ultimo, ne’ come fine concorrente.” (Sez. 3, n. 10750 dell’11 giugno 1986).
In definitiva la giurisprudenza prevalente della Corte di Cassazione sembra escludere il fine di lucro non se la posta ha un valore minimo (o modesto o di scarsa entità o tenue) ma solo essa sia del tutto irrilevante o quando sia talmente tenue da indurre a ritenere non sussistente lo scopo di conseguire un guadagno economicamente apprezzabile;
A tale fattispecie il Ministero aggiunge il caso in cui “la quota di iscrizione è tale da non essere interamente destinata all’acquisizione dei premi nonché distratta per trarne un vantaggio economico, ovvero nel caso in cui, per le modalità di organizzazione e svolgimento del gioco, indipendentemente dalla posta in palio, i fini siano tutt’altro che trasparenti ed eccedano i limiti della legalità”. Tali ultime limitazioni (“i fini siano tutt’altro che trasparenti ed eccedano i limiti della legalità”) dovrebbero essere, peraltro, ulteriormente approfondite dall’Amministrazione, al fine di evitare formule preclusive di incerta determinazione effettiva;
Inoltre, sempre secondo l’Amministrazione:
· “L’importo massimo deve trovare giustificazione unicamente nello svolgimento delle fasi finali dei tornei di carte dal vivo a carattere nazionale, mentre negli stadi preliminari o intermedi gli importi delle quote di partecipazione dovrebbero essere sensibilmente inferiori e stabiliti in rapporto alla tipologia e rilevanza del torneo e, comunque, non superiori ad euro 30.”. Ciò è conforme all’orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo cui il fine di lucro non deve essere inteso in senso assoluto, ma relativo e può essere diversamente valutato in relazione alle circostanze del caso e al contesto specifico in cui si svolge il gioco. Con la conseguenza che il fine di lucro è ravvisabile, nonostante la tenuità della posta, quando la stessa posta sia ripetuta più volte, sì da portare ad una somma che, complessivamente considerata, non può ritenersi economicamente irrilevante.
· “Quando le partite sono svolte contemporaneamente su più tavoli, il giocatore che abbia esaurito la dotazione iniziale di fiches assegnate deve essere escluso dalla competizione, non potendo consentirsi che partecipi ad ulteriori partite nel corso della medesima manifestazione versando nuove quote di partecipazione.”.E ciò sempre in relazione alla necessità, sopra detta, di individuare le modalità concrete di svolgimento del gioco ai fini della valutazione della liceità o meno dello stesso.
· “La persona fisica o giuridica organizzatrice della manifestazione non potrà essere autorizzata a svolgere nella medesima serata e nella stessa località più di un torneo.”. Si conviene anche su tale ultima limitazione.
agicos