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Poker Caraibico e Lubianska
Dopo aver finito una lubianska da tre chili (per chi non lo sapesse è una specie di enorme cotoletta ripiena di formaggio e prosciutto) condita da un paio di oneste pinte di birra ed una sequela infinita di amari tipici della slovenia rientro al Casinò del Perla, l’ultima cosa che un uomo saggio dovrebbe fare è sedersi ad un qualsiasi tipo di gioco in cui si possano perdere più di 27 centesimi.
Purtroppo, quando hai fatto quanto sopra, dell’uomo saggio non ne è rimasta che l’ombra nella platonica grotta.
Quell’unico neurone che ancora fatica a sopirsi dalla stanchezza e dall’alcool guida il mio corpo verso uno dei giochi più bastardi che si possano trovare. Il Poker Caraibico. Non è particolarmente difficile, anzi. La sua semplicità, nonchè l’impossibilità matematica di vittoria, lo rendono appetibile alle anime perse come la mia che vagano in cerca di un posto a sedere. E quando poi mi rammentano che posso ordinare da bere gratuitamente mentre gioco a quel tavolo, ecco che quell’unico neurone viene portato in trionfo in una mente di cui è ormai incontrastato padrone.
Arrivano le prime cinque carte (non ho nessunissima voglia di spiegarvi come funziona il gioco, peraltro sarebbe completamente inutile farlo visto che il mio unico pensiero era resistere quanto più tempo possibile per bere quante più birre possibili), ed arriva anche la prima birra. Una ragazza di fianco a me comincia a urlare come il ciclone Katrina verso il dealer, colpevole in maniera capitale di aver girato le prime tre carte del mazzo (invero gli sono cadute mentre girava la prima ma tantè io avevo la mia birra e mi tenevo ben alla larga da queste follie).
Ma come nelle cose della vita, quando ti vuoi tenere in disparte e sperare che anche la morte faccia finta di niente, ecco che questa pazza sbraitando sbraitando, gesticolando gesticolando, finisce per farmi rovesciare il mio nettare degli dei. Ora, se della sua carta non mi poteva realmente fregar di meno, di certo del bicchiere rimasto mezzo vuoto un tantino mi premeva. Fu forse così che cominciai ad ascoltare ciò che accadeva intorno.
Una carta da cambiare per lei, lei che vede che tra le tre ribaltate c’è proprio la sua e si convince che era quella che doveva arrivare a lei. Il dealer che dichiara convinto che non è così. Lei che chiede l’intervento delle telecamere. Dieci minuti per ordinare un’altra birra. Dieci minuti per vedere tornare il floorman consegnando la carta giusta alla signora (quella che gli faceva chiudere scala). Vedere che il banco non si qualifica e quindi la signora non ci ha guadagnato niente. Rivedere la signora che nei successivi venti minuti ci lascia altri 3 mila euri. Ordinare un’altra birra. Convincersi che nessuno ha davvero mai visto il filmato ma sapendo che avrebbe comunque speso tutto hanno preferito consegnarli la sua carta ed aspettare che li perdesse tutto poco dopo.
Questa successione di pensieri sconnessi è più o meno l’incubo del poker caraibico di stasera, concluso anche per me poco dopo, quando arriva la quarta birra, a cui do una speranzosa sorsata sentendo un forte sapore di piscio (oddio, non ho mai realmente assaggiato il piscio, ma credo che capiate il senso metaforico della cosa…). Piscio che uccide l’ultimo neurone intatto. Piscio che mi fa buttare in quel tavolo gli ultimi 150 euri nel giro di qualche minuto. Piscio che mi fa capire di dover andare al bankomat per salire di grado verso il tavolo cash 1/2 della Room del Perla.
Ma questa è tutta un’altra storia che vi racconterò più tardi…se ci arrivo…