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il 22 Mag 2017

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Dal tavolo all’università: introduzione alla teoria del poker spiegata al MIT

Dal tavolo all’università: introduzione alla teoria del poker spiegata al MIT

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Poker theory and analytics: è questo il nome del corso del Massachussets Institute Of Technlogy dedicato al poker.

Il MIT ha messo online i video delle 8 lezioni del corso rivolto agli studenti della Sloan School of Management, la business school della celebre università di Cambridge che vanta ben 72 Premi Nobel.

Nell’introduzione il relatore spiega che il corso si svolgerà per tre giorni a settimana e un giorno sarà dedicato alle review. Il relatore dà poi le coordinate per iscriversi all’Home Games del corso su PokerStars, come potete osservare voi stessi nei primi minuti del video a margine dell’articolo. Per chi non avesse troppa dimestichezza con l’inglese abbiamo pensato di venirvi incontro e riassumere i punti chiavi di questa lezione introduttiva: partiamo con alcuni concetti base.

Dando per scontato che l’online garantisce vantaggi a livello statistico/matematico che live sono difficilmente raggiungibili – e non parliamo solamente dell’eventuale utilizzo di un HUD ma semplicemente del fatto che il pot e le size sono espresse in numeri quindi risulta più immediato calcolare le odds oltre al numero maggiore di mani giocate all’ora – l’errore principale commesso dagli amatori consiste nel preflop.

La maggior parte delle chip buttate al vento riguardano la fase preflop, in quanto la conoscenza dei range ottimali da giocare in una cerca fase di gioco in accordo con una determinata struttura del torneo richiedono uno studio approfondito. In linea generale il rapporto blind stack di un torneo turbo online è molto simile al live, motivo per cui risulta molto importante per chi si cimenta nel poker dal vivo conoscere questi aspetti.

Il modo migliore per studiare il poker si divide in tre fasi: apprendimento, pratica e esplorazione di tecniche di gioco più avanzate. Queste ultime si dividono in tre ulteriori sotto-categorie: deviazione dalla regola, gioco exploitativo e concetti di metagame.

Ciò che bisogna tenere in considerazione sono le nostre aspettative: l’obiettivo di un giocatore è quello di partire da uno stake basso, capire quale ritorno d’investimento (ROI) può avere e moltiplicarlo per l’average buy-in in modo da avere ben chiaro in testa quale sia la sua resa all’ora, finché non si raggiunge un livello soddisfacente.

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Una volta fatte queste premesse si passa a un concetto fondamentale nel poker: lo stack effettivo. Con stack effettivo si intende ovviamente il più piccolo in gioco, che a prescindere dal numero di chip a nostra a disposizione sarà quello su cui dovremmo far riferimento. Se in un match heads-up ci troviamo con 2.700 chip contro 300 ai blind 10/20, le nostre decisioni andranno prese come se ci trovassimo a giocare con sole 15x.

Al contrario in situazione di pari stack, avendo entrambi a disposizione 75 big blind le scelte risulteranno differenti. Un modo alternativo per far capire alle persone cosa si intende con stack effettivo è quello di definirlo come: il numero massimo di chip che possiamo perdere in una mano. Nel caso precedente infatti, con l’avversario a 300 chip, 300 sarà il numero massimo di chip che potremmo perdere.

Ma qual è l’approccio migliore per vincere a poker? Di sicuro un player loose-passive (calling-stations) non riuscirà ad avere successo nel poker. Non esiste un singolo esempio di questa tipologia di giocatore che sia riuscito nel lungo periodo ad avere successo. I giocatori tight-aggressive o loose-aggressive invece sono quelli più vincenti, ma attenzione, perché la seconda categoria richiede diverse abilità per essere fruttuosa e non diventare un’arma a doppio taglio.

In ultima istanza la cosa che più bisogna tenere in considerazione è il proprio stack in relazione ai blind. Non solo lo stack intero in relazione a un singolo big blind, ma lo stack diviso per la somma di blind e ante. A seconda della loro rilevanza infatti varrà o meno la pena esporsi a un certo tipo di rischio o meno…

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