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Strategia

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il 3 Ago 2017

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Il linguaggio del downswing

Il linguaggio del downswing

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Il downswing è un concetto di cui ci troviamo a parlare spesso frequentando il mondo del poker. È un fenomeno ineliminabile, a volte risulta addirittura essere un riparo in cui rifugiarsi per evitare di ammettere lacune tecniche, resta comunque uno spauracchio per tutti.

La paura vera e propria non è quella di cadere nel downswing che bene o male tutti accettano come momento invitabile e anzi ricorrente. Il timore che prende a molti giocatori di poker è quello di non saper reagire adeguatamente a questo momento. In effetti, per un giocatore di poker, sapere come affrontare un periodo del genere è una qualità importante che può diventare addirittura vitale se pensiamo che prolungati downswing possono mettere fine a carriere di giocatori anche promettenti e preparati ma incapaci di far fronte a questa difficoltà.

Ognuno di noi avrà una propria idea di come è auspicabile reagire nel momento in cui tutto va male, io vorrei proporre un metodo alternativo da poter sperimentare in un futuro, speriamo molto lontano, momento di bisogno.

Siamo in downswing quando pur mantenendo un gioco per noi standard stiamo perdendo. Il gioco che finora ci ha sempre portato profitto sembra diventato inefficace, tutto questo perché la sorte ci sta perseguitando. Qualsiasi cosa non dovrebbe succedere, succede. Ogni volta che il nostro opponent cerca uno, due o tre out li trova e noi continuiamo a perdere. Non leghiamo mai un colore, mai un set e se lo dovessimo legare ci troviamo contro punti più alti trovati in circostanze miracolose.

Sappiamo che succede a tutti ma quando ci siamo dentro è come vivere un incubo. I pensieri che si iniziano ad ammassare in testa in questi momenti non portano nulla di buono. Sono tutti pensieri negativi che possiamo dividere in tre grandi categorie.

 

PENSIERI NEGATIVI DI INSICUREZZA

“Fino ad ora ho vinto solo per fortuna. Sono scarso, devo studiare”

Questo pensiero è ricorrente ma spesso irrazionale. Una bad run di mille o duemila mani rischia di farci dimenticare le centomila mani precedenti che invece hanno portato buoni frutti. Trenta tornei senza premio ci fanno dimenticare il ROI a due cifre dei precedenti tremila.

Con questo non voglio dire che studiare non serve se siamo giocatori vincenti nel lungo periodo. Studiare e aggiornarsi è sempre vitale per stare al passo con l’evoluzione del gioco e “l’indurimento” del field. Il punto da ricordare è che lo studio è uno strumento che va usato in maniera costante indipendentemente se stiamo attraversando un buon momento a livello di profitto o meno.

Legare lo studio al profitto sarebbe un grosso errore perché non studieremo mai nei momenti positivi perdendo mano a mano terreno sugli altri giocatori fino a essere inefficaci e perdere parte o tutto il profitto prima di rimetterci a leggere libri, frequentare forum, fare coaching, analizzare sessioni ecc ecc.

Se per evolvere il nostro gioco ci costringiamo a passare un momento di downswing potremmo essere costretti a pagare un prezzo troppo alto. Quindi non preoccupiamoci della preparazione, è una cosa indipendente dal nostro momento di downswing se abbiamo il giusto approccio al poker.

 

PENSIERI NEGATIVI DI ABBANDONO

“Se devo giocare per rovinarmi la giornata che gioco a fare? Meglio smettere”

Anche questo pensiero ricorrente non è razionale. Cedere a questo pensiero ci spinge ad abbandonarci alla spirale depressiva che un downswing crea. Pensando così asseconderemo il momento negativo invece di combatterlo. In fondo se avessimo smesso di giocare davanti alle prime difficoltà incontrate non avremmo in mano questo giornale.

È anche il superare le difficoltà che ci forma come giocatori e ci migliora rendendoci in grado di affrontare la prossima, magari più impegnativa, sfida. Con questo non voglio dire che davanti a un downswing particolarmente prolungato una pausa non sia auspicabile.

Possiamo fermarci un attimo ma questa sospensione non deve essere vista come una resa ma solo come una strategia per combattere. Un modo per allontanarci dai pensieri negativi e non dal gioco in se stesso. Se sentiamo il bisogno di sospendere con il poker dobbiamo inquadrarlo in una strategia di lotta contro il downswing e non come un abbandono, una sconfitta.

Sebbene per molti non ci sia differenza vorrei ribadire il concetto: le pause non sono tutte uguali. Sospendere per un periodo il gioco dovrebbe essere una mossa usata come mezzo per combattere i pensieri negativi e non un momento per farli proliferare. Se abbiamo preso la pausa nel giusto modo lo capiremo una volta che ci siederemo di nuovo a un tavolo da poker.

Se il primo pensiero sarà “speriamo che il momento brutto sia passato” significa che abbiamo inteso la pausa nel modo sbagliato. Se sospendiamo con il gioco dovremmo essere in grado di tornare con la mente libera come se il downswing non fosse mai arrivato. Rimettersi a giocare ancora preda dei pensieri negativi sarebbe inutile e porterebbe solo un prolungamento del momento buio, questo anche  grazie all’ultima categoria di pensieri negativi riportati qua sotto.

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PENSIERI NEGATIVI DI AVVERSIONE AL RISCHIO

“Inutile pushare questi due Re visto che sul flop escono sempre Assi”, “Inutile rischiare un coin flip con questo A-K, non ne vinco mai uno”

In un momento di difficoltà, o come si direbbe oggi di crisi, l’uomo per sua natura tende ad aumentare l’avversione al rischio. Siamo, in un certo senso, abituati a perdere e abbiamo più paura del rischio. Questo è molto negativo. Ci porta infatti a non cogliere occasioni che in altri momenti avremmo colto. Ecco quindi che questi pensieri irrazionali rendono il nostro gioco EV-. Purtroppo una volta che siamo risucchiati nella spirale dei pensieri negativi andiamo a modificare il nostro gioco quasi senza rendercene conto. Diventiamo cosi meno efficaci con l’unico risultato di prolungare il downswing. Siccome l’aumento dell’avversione al rischio nei momenti di difficoltà è un atteggiamento tipico dell’uomo credo che questa ultima categoria di pensieri negativi sia la più insidiosa e difficile da combattere.

Prendendo in prestito, ancora una volta, gli studi degli psicologici impegnati nel campo dell’economia vorrei proporre una soluzione che ritengo abbastanza facile da applicare con un minimo di attenzione e volontà.

Lo psicologo Boaz Keysar, impiegato presso l’Università di Boston, insieme al suo team di ricercatori ha selezionato più di 100 studenti universitari con conoscenza della lingua giapponese. Li ha poi sottoposti a un quesito. Si chiedeva se dovendo scegliere, nella lotta a una malattia mortale, si preferiva usare un farmaco che avrebbe salvato sicuramente 200 mila persone su 600 mila oppure un farmaco con il 33,3 percento di probabilità di salvare tutti e il 66,7 di non salvare nessuno.

La cosa strana è stata che le risposte differivano a seconda della lingua in cui era posto il quesito. Nei quesiti in inglese 8 studenti su 10 hanno scelto la prima opzione (giudicata più sicura avendo la certezza di salvare qualcuno). Solo 4 studenti su 10 invece hanno scelto questa opzione più prudente nei quesiti in giapponese. Per strano che possa sembrare i risultati ci dimostrano che gli studenti si sono rivelanti più inclini al rischio se venivano costretti a ragionare in una lingua diversa dalla loro madrelingua.

In un altro esperimento condotto dallo stesso team di ricercatori ad alcuni studenti americani che conoscevano lo spagnolo veniva data la somma di 15 dollari e li si invitava a una serie di scommesse da 1 dollaro. Anche in questo caso le scelte più rischiose erano abbracciate dal 71% degli studenti interrogati in spagnolo rispetto al 54% di quelli interrogati in inglese.

La spiegazione che ci fornisce Keysar si rivela molto interessante per noi pokeristi. Secondo lo psicologo americano un linguaggio differente dal proprio spinge una persona a ragionare più attentamente e soprattutto in maniera più imparziale visto che grazie alla lingua non propria si crea maggiore “distanza” dal problema.

Questo spinge spontaneamente verso una decisione più razionale e meno difensiva. La distanza che si è riusciti a creare da un problema smorza l’influenza delle emozioni che troppo spesso allontanano dalla razionalità. Keysar conclude e riassume così: “L’individuo è per sua natura contrario all’idea di subire una perdita e spesso rinuncia a opportunità interessanti a causa dei suoi timori. Ciò che ora abbiamo scoperto è che l’avversione alla perdita si riduce però quando le persone prendono una decisione in una lingua diversa dalla propria”.

Quando stiamo giocando e siamo in un periodo di downswing riuscire a prendere le distanze dalle decisioni che ci sono richieste affievolendo l’influenza della nostra emotività è esattamente quello di cui abbiamo bisogno. Ecco quindi che, in particolare per l’ultima categoria di pensieri negativi, porsi domande in una lingua diversa dalla nostra diventa un’ottima strategia.

Quando stiamo per prendere una decisione in cui rischiamo tutto o quasi il nostro stack è il caso di analizzare la situazione e chiederci da soli se è veramente il caso di fare quella mossa in una lingua straniera.

Secondo gli studi sperimentali appena letti questo ci eviterebbe di cadere nella spirale di pensieri negativi indotti soltanto dalla nostra situazione emotiva causata dal periodo difficile. “Appoggiarci” a una lingua straniera ci permetterebbe infatti di guadagnare quella distanza dalla decisione che ci serve per ragionare nella maniera più razionale possibile.

Prendere decisioni razionali non a caso è il modo migliore per uscire dal downswing. Più decisioni razionali prendiamo e più è probabile una veloce uscita dal tunnel che abbiamo imboccato. A ben vedere tutti i più grandi giocatori di poker conoscono un solo modo per uscire da un periodo di sfortuna: giocare tanto, magari aumentare anche i volumi abituali, e giocare bene.

Prendere decisioni ragionando in una lingua straniera quindi può essere un modo efficace di riguadagnare il nostro A-Game dove i rischi calcolati sono un’opportunità e non un pericolo. Niente pensieri negativi, niente emozioni che ci condizionano, solo scelte razionali e EV+: la strada maestra per l’uscita dal downswing ci viene indicata semplicemente da un po’ di bilinguismo.

 

Dottor psicologo Emanuele Posa

Articolo pubblicato su Poker Sportivo n.82, febbraio 2014

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