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Matt Hunt: “sono pochi i giocatori High Roller in bankroll, ecco perché”
“Devi sempre e comunque giocare in bankroll“, ci hanno sempre detto quelli che ne capiscono un pochino più di noi, “oppure rischierai di rimanere steso e senza fondi per continuare a giocare. E ricorda, rialzarsi è difficilissimo”
Giocare in bankroll è un buon consiglio. Ma lo fanno tutti?
Questo mantra del gioco entro i margini della propria responsabilità economica, non è mai un cattivo consiglio, non si può pensare di fare il passo più lungo della gamba, non solo per una questione di disciplina e di tranquillità in sessione, cose che abbiamo sempre detto e ridetto in tutte le salse, ma anche e soprattutto perché, per approcciarsi ad un livello non consono rispetto alle nostre finanze, va da sé che andremo ad affrontare giocatori ben più forti di quelli che incontriamo nel nostro ABI consueto.
Alcune settimane fa, in concomitanza con le WSOP e coi suoi tornei dal Buy In più alto, Matt Hunt, che scrive regolarmente su Poker.org, ha messo nero su bianco un pezzo piuttosto interessante sulla poca attenzione, per usare un eufemismo, dei giocatori che partecipano agli High Roller in relazione al loro bankroll.
Il pezzo di Hunt, che è, oltre che un ottimo divulgatore della materia pokeristica, anche un gran bel giocatore di poker, fa riferimento alle partite di cash game più elevate del pianeta, tanto che la percezione di chi osserva queste partite, è quella che i giocatori impegnati si stiano giocando una parte irrilevante del loro bankroll, che permette loro di ballarsi certe cifre senza avere problemi di sorta. Ma non è quasi mai così.
Il calcolo
Secondo un calcolo fatto proprio da Hunt, un giocatore che si siede ad un tavolo cash dove i bui sono $500/$1.000, non varia ovviamente nulla se parlassimo di Euro, dovrebbe mettere al tavolo una cifra di circa $250.000 per stare relativamente comodo nella partita, 250x.
Se la partita è, come fino ad ora descritto, di cash game, il bankroll al quale è necessario fare riferimento non può non oscillare almeno tra i 3 e i 6 milioni, cifra che deve tenere conto, ovviamente, del proprio tasso di vincita.
Le cose diventano ancora più sintomatiche se parliamo di tornei, i quali invece sono influenzati dal numero di partite che vuoi giocare durante l’anno, ma non può mai essere inferiore ad un range che va dagli 8 ai 12 milioni.
In realtà, continua Hunt, questo tipo di bankroll non possono permetterselo in tanti e occorre andare a trovarlo bussando alla porta di quelli che sono i cosiddetti giocatori occasionali, che hanno fatto tanti, tanti soldi grazie alle loro attività che spesso nulla hanno a che fare col poker.
La vendita di action
Se partiamo da questo tipo di discorso va da sé che è difficile trovare dei giocatori che possano sostenere questo tipo di partite senza fare affidamento a vie traverse che non siano quelle delle esclusive proprie finanze.
La via di uscita è quella di vendere quote delle proprie action. I più attenti riescono addirittura a giocare per parti infinitamente piccole rispetto al proprio bankroll, vendendo addirittura porzioni al di sopra del 90% del buy in.
Un’altra caratteristica di queste partite è la capacità di concentrazione, che viene a mancare quando il torneo o la partita che si gioca è fin troppo basso rispetto al proprio bankroll e la vincita eventuale sposterebbe poco per la carriera di chi le gioca e ha aspettative di successo piuttosto alte.
Per questo motivo si giocano partite un po’ più alte: per sedersi al tavolo con lo scopo di giocare il proprio A-game per tutta la durata della sessione.
Il problema principale è anche l’altra faccia della medaglia: quando ti siedi al tavolo con la pesantezza dell’idea che un’eventuale sessione negativa possa incidere con una certa pericolosità su quello che è il tuo bankroll, allora parti già con un handicap rispetto agli altri.
Il punto focale
Fare leva sulla propria capacità manageriale, significa trovare il punto di equilibrio tra una partita che rispetti il nostro bankroll e quella che ci permetta di giocare al massimo della concentrazione dall’inizio alla fine della nostra partita, che essa sia torneo o cash game.
La parte più difficile del processo cognitivo di cui all’oggetto, è quella di trovare, a prescindere dalle formule matematiche, quella porzione di buy in che possa compromettere le tue capacità al tavolo e non andare oltre quello stesso limite, ma tenersi leggermente al di sotto per mantenere comunque alto il nostro focus.
Ecco perché le partite High Stakes sono popolate spesso dagli stessi giocatori: lo fanno in maniera intelligente. Vendono action, propongono un prodotto che richiama interesse e appassionati che guardano gli streaming e non compromettono il proprio A-game. A parte i mostri sacri che hanno quella capacità economica di giocare con le proprie risorse.
Ma non sono tantissimi.