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Quattro chiacchiere con Filippo Candio dieci anni dopo il Final Table al Main Event WSOP
Per celebrare uno dei momenti più belli della storia del poker italiano abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere col protagonista di quella cavalcata pazzesca: Filippo Candio. L’intervista o il racconto, sta a voi decidere, è diviso in due parti.
Sono trascorsi quasi dieci anni da quel 7 novembre 2010.
Un ragazzo con la felpa a bande orizzontali nere e azzurre metteva piede, primo italiano nella storia, al tavolo finale del torneo di poker più importante al mondo.
Con quel ragazzo abbiamo in comune l’età e la provenienza geografica, anche se nel periodo del boom del poker io suonavo nei locali e lui vinceva i milioni.
Un po’ per caso, un po’ per destino, ci siamo incrociati negli anni successivi e l’ultima volta è accaduto proprio la settimana scorsa.
Avremmo dovuto parlare di Dario Minieri e di un post in cui aveva preso le sue difese. La verità è che dopo due Spritz sorseggiati fronte mare, prima di arrivare a parlarne abbiamo fatto un giro bello lungo.
Partendo proprio da quel 2010 che lo ha visto compiere l’impresa delle imprese, quella che tutti sognavamo di vivere. Lui è stato il primo di tutti e credetemi, siamo stati fortunati.
Far emozionare milioni di persone non è cosa semplice, perché devi metterti in gioco, devi mettere in gioco la tua emotività se vuoi entrare nei cuori della gente.
E tifare per Filippo Candio in quel magico momento per il poker italiano singificava abbandonarsi all’irrazionalità, o meglio alla sua personalissima razionalità, difficile da descrivere ma semplice da comprendere perché fatta dell’essenza più vera, quella che ci fa appassionare alle cose.
Spiegare cosa è stato o cosa hanno rappresentato gente come Candio o Minieri alle nuove leve del poker è complicato. Il poker era qualcos’altro, così simile e così diverso da quel che c’è oggi.
Fortuna vuole che in quel pomeriggio cagliaritano ci sia anche Giulia, che di poker (e in particolare di Filippo) non sa nulla pur avendo sbirciato qualcosa su Wikipedia.
E’ dalla sua curiosità che scaturisce la prima domanda, semplice e diretta…
Come si arriva a fare questo per lavoro, giocare a poker?
Per indole. Ovvero, non è tanto la persona che vuole iniziare a giocare a poker, quanto il poker che prende possesso della persona in base a chi sei.
Diciamo che il poker è qualcosa di interessante che per sua stessa natura non può non riguardare persone che hanno problemi altrettanto interessanti.
Nello specifico: una grande propensione allo star svegli la notte e in generare al voler raggiungere dei risultati che solo la mente può farti raggiungere.
Ho sempre pensato che un giocatore di poker fosse un calciatore mancato, che sostanzialmente riesce a raggiungere determinati risultati soltanto grazie alla mente.
E non parlo di risultati economici, o almeno, io non ho mai giocato a poker per vincere dei soldi. Nonostante li abbia vinti.
Sì ma, come ci arrivi. Come arrivi a fare la prima partita…
Nel mio caso il poker è stato sempre presente. Ho iniziato a giocare a dieci, dodici anni, ma ricordo benissimo le prime volte in cui l’ho approcciato professionalmente, o almeno ci provavo.
Quando vai in un posto dove ci sono 40/50 persone e, pur non sapendo bene cosa stai facendo li metti tutti in riga (e hai 19 anni), capisci che in quella cosa sei più bravo che in altre. E finisci per trasformarlo in un lavoro perché, in fondo, in quella cosa sei bravo per davvero, o perlomeno, io lo ero.
Anzi, non ero solo bravo, ero un fenomeno. Perché poi ho vinto il giorno dopo, quello successivo e quello dopo ancora.
Credo semplicemente che il poker funzioni come tutte le cose a livelli di un certo tipo, come quelli che ho avuto la fortuna di raggiungere. Diventa una necessità.
Io l’ho fatto e basta perché era l’unica cosa che mi riusciva bene nella vita.
Lo è ancora, l’unica cosa che ti riesce bene nella vita? O forse è meglio dire, è ancora la cosa migliore che ti riesce fare?
Sicuramente sì, a entrambe. E se mi rimettessi seriamente a giocare a poker sarei sicuramente tra i Top 10 in Italia…
Quale logica sta dietro alla scelta di smettere se dentro di te pensi ancora di essere tra i migliori?
Perché al mondo esiste molto di meglio rispetto a un gioco di carte che non vale niente.
Tu non sei meglio degli altri perché sei più bravo a poker. Magari sei meglio degli altri in quel gioco, e stop. Questo è un concetto che molti giocatori i poker dovrebbero far prorpio.
Potresti esser bravo a carte e un mega coglione in tutto il resto. Io ho sempre cercato di essere una bella persona anche in altri campi, non esistono soltanto poker e soldi, che alla fine sono (spesso) la stessa cosa.
Cosa avrei fatto nella vita senza il poker? Forse il musicista. Nel poker però, ero brillante.
Ti da fastidio “splendere” per qualcosa di così futile?
Sì, enormemente. Penso di valere molto di più, anche se magari non è vero. Di sicuro Filippo Candio non uscirà dal poker, perché ci ha provato e non ci è riuscito. Oramai me ne son fatto una ragione: potrei mettere sù un’azienda che vale un miliardo di euro, ma quando morirò sarò sempre e solo “baciami ancora”…
Ed è giusto così, l’emotività batte la verità. Della serie, qualcosa che hai fatto ha creato delle emozioni nelle persone è ciò è bellissimo.
Perché si parla ancora di me? Perché sono una persona emotiva.
Filippo Candio sa di essere un personaggio?
Credo che considerarmi come tale sia la cosa peggiore che possa pensare di me stesso.
I personaggi sono quelli che esprimono opinioni, e tu lo hai sempre fatto…
Io faccio emozionare, non esprimo opinioni.
Non è forse un’opinione mettersi dietro la ringhiera ad osservare lo showdown più importante della tua carriera? Potevi viverla in mille modi diversi, hai scelto di viverla così…
Non sapevo nemmeno di essere ripreso quando sono finito là dietro..
Contestualizzamo.
Uno dei motivi per cui si parla ancora di Filippo Candio, in Italia come all’estero, corrisponde a uno dei momenti topici della sua carriera da professionista. Una sculata clamorosa in pieno final table al Main Event WSOP, una mano che ha spostato milioni di dollari. Tutta Italia, e non solo, ha tifato per lui.
Filippo si appoggia alla ringhiera del rail, braccio a penzoloni e sguardo che tende verso l’alto, come ad esplorare una realtà che mal si sposa con l’energia di cui è stato partecipe, ed artefice, fino a quel momento.
Mentre una parte era pienamente cosciente del fatto che tutto stesse per finire, l’altra sapeva benissimo che ce l’avrebbe fatta.
Ed è in quel momento che accade qualcosa di magico. Lui diventa spettatore di ciò che sta per accadere, si mette fisicamente dietro la ringhiera, osserva la scena e si vive in prima persona l’emozione che tutti avrebbero voluto provare. CLICCA QUI per leggere il racconto della scena dal punto di vista di Gabriele Lepore
E reagisce nel modo più naturale possibile, con un’esplosione di gioia allo stato puro accompagnata da un coro unanime di “ohhhh”.
Come hai fatto a capire questa dualità? – mi chiede Filippo – Hai compreso qualcosa di molto importante per un giocatore di poker, la capacità di astrarsi da quello che sta succedendo. E tornare a giocare come se niente fosse successo.
Nemmeno Sammartino riesce a farlo, lui è troppo sé stesso. Sennò avrebbe vinto…
Chi è il più grande giocatore di poker in Italia, considerando in assoluto proprio tutti tutti?
Al momento direi Dario…
Minieri però. E’ il giocatore per antonomasia, perché include tutti i pregi e tutti i difetti di un giocatore di poker. Prendi Bryn Kenney, lui ha vinto più di tutti, ma chi se lo fotte Bryn Kenney?
Chi è Phil Ivey invece? Phil Ivey è Phil Ivey. La risposta è nella domanda stessa, il resto è marketing.
Ivey è fantasia, sogno, emotività pura. E’ meglio essere Phil Ivey o Bryn Kenney, che comunque è quello che ha vinto più di tutti?
Ivey tutta la vita. E tu che ne pensi?
Io sono Filippo Candio, sono quello che ci ha giocato contro Phil Ivey.
Ah, bene. Raccontacelo […]
(continua con la seconda parte)
Intanto date uno sguardo al minuto 1:35 per rinfrescare la memoria…
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